sabato 9 febbraio 2013

MASSARIOTTA. 30 ANNI DI EXPLO'



40 anni alla Massariotta e 30 di Campo Explò
Daniele Campolo *

40 anni … tempo di memoria e di ricordi: sembra solo ieri che, in perfetta uniforme, con uno zaino pesantissimo (per paura di dimenticare le cose essenziali) e le prime scarpe da trekking, acquistate per l’occasione,  salutavo i miei genitori dalla nave, che mi avrebbe portato al di là dello Stretto!
Che magnifica avventura!!! A partire dal viaggio in treno, con i tempi estenuanti della linea ferroviaria ad unico binario, il caldo, gli odori dell’estate ormai alla fine, i pensieri e le preoccupazioni dell’anno scolastico che di lì a poco sarebbe ricominciato. L’arrivo in pullman a Ficuzza con l’imponenza del palazzo reale e quei due enormi  cipressi dell’Arizona sul lato sinistro del prato di fronte alla Real Casina di Caccia che garantivano un po’ d’ombra e di frescura a tanti ragazzi che, provenienti da tutte le parti d’Italia, si incontravano.
Mentre attendevamo l’inizio del campo, oltre a iniziare a scambiare le prime battute con gli altri esploratori, ricordo una presenza “inquietante”, un giornalista che armato di macchina fotografica non faceva altro che farci domande: era incuriosito dalla nostra uniforme, dalle nostre attrezzature, dalla nostra provenienza, ma ad ogni nostra risposta, non contento, non faceva altro che stimolarci con nuovi “perché?” e alla fine la fatidica domanda “ma perché fate gli scout? Cosa ci trovate? Non era meglio starvene a casa vostra al mare?”. Quanto mi ha messo in crisi quella domanda!? Ancora al pensiero … mi vengono dei piccoli brividi lungo la schiena. Non ho fatto altro che pensarci per tutto il campo, e … anche dopo, una volta tornato a casa, e anche … ora, dopo tanti anni di scoutismo.
Fiiiiiii … un fischio! Inizia il campo! Divisi in squadriglie iniziamo ad addentrarci nel bosco della Ficuzza, sulla vecchia via del treno, e quale emozione quando, di sera, arriviamo stanchi ed affamati al Pulpito del Re, interamente illuminato con candele e padelle romane e ad attenderci addirittura … Re Ferdinando IV di Borbone!
Quante sensazioni e quante esperienze vissute tutte in pochissimi giorni: l’azimut su Rocca di Corvo, dormire in rifugi costruiti con materiali di fortuna, lavarci con i bidoni, perderci nei sentieri con carta e bussola che ancora non sapevamo usare bene, mangiare al buio, addormentarci con il ticchettio notturno dei picchi, e poi … finalmente la base!
Anche questo momento rimarrà per sempre impresso nella mia memoria: raggiungere la base da Piano Rineddi nel bosco del Cappelliere, vederla comparire a poco a poco dall’alto, con i tetti delle strutture ben mimetizzati e vederla animata ed in piena attività (in contemporanea al nostro campo ce ne era un altro fisso alla base), entrare con orgoglio perché noi eravamo “gli esploratori” che avevano sperimentato i ritmi della natura ed avevano vissuto incredibili avventure nel Bosco, ricevere l’affettuoso saluto del Responsabile della base.
Un’esperienza indimenticabile insomma che ha segnato la mia vita non tanto per l’esperienze vissute (comuni a quelle di molti altri) ma per le scelte che da quel campo ho imparato a fare: la scelta di diventare capo nell’associazione prima, e capo del settore specializzazioni poi.
E anche qui le esperienze vissute da educatore si accavallano l’una sull’altra, confondendosi e mescolandosi, come tanti frammenti di un puzzle: la salita su Rocca Busambra con degli allievi che ci hanno fatto mangiare i gomiti fino all’ultimo giorno; la messa itinerante con il rito bizantino ed il fantastico Papa Kola che non faceva altro che prendersela con le multinazionali; le escursioni con gli esperti della Lipu; i bagni negli abbeveratoi per le mucche; le fieste finali con dardi infuocati che non andavano mai dove dovevano andare; i tantissimi esploratori/guide che ancora ci incontrano e si ricordano di noi; i rover sempre pronti a servire e mai stanchi di rendere il campo perfetto fino all’ultimo minuto; i capi, compagni di avventure, diventati amici per la pelle anche se ci si vede solo qualche giorno l’anno.
Per non parlare poi delle relazioni vissute, che anche se non ricordi i volti o i nomi di tutti gli esploratori, ti lasciano dentro la gioia di aver condiviso parte della tua vita con gli altri, di non aver sprecato il tuo tempo, di aver scoperto persone nuove e donato loro qualcosa di te anche la più banale o la meno significativa …
Certo ora qualche risposta in più ce l’ho, per quell’inquietante giornalista, che altri non era (a questo punto ve lo posso svelare …) che il capo campo che cercava di instaurare con noi delle relazioni “fuori dagli schemi scout” proprio perché dietro il progetto di campo non c’era solo l’obiettivo di farci acquisire delle semplici conoscenze tecniche, ma quello di possedere delle competenze che oltre a farci “orientare nel bosco” ci dessero la capacità di “orientarci nella vita”.

Febbraio 2013

*Incaricato regionale EG Calabria

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