giovedì 19 maggio 2016

UN APPETITO VIRTUOSO

CHE APPETITO HAI?

Etica e virtù nella vita e nella società. Un’utopia, una speranza, un impegno

Secondo Aristotele l'appetito rappresenta la naturale tendenza che spinge ogni uomo a realizzare ciò che egli ritiene “bene”. Il concetto di bene è strettamente connesso al modo di intendere la vita e alla maniera di porsi nei confronti degli altri e nella società.  
Il recente studio dell’Ocse, Trust in Government, analizzando comparativamente la situazione di 29 Paesi nel mondo nei riguardi della corruzione evidenzia la necessità che, sin dai primi anni di vita, si insegni e si faccia esercitare l’etica della buona cittadinanza. Purtroppo, la situazione italiana non risulta tra le migliori. Perciò il rapporto richiama la responsabilità di tutte le istituzioni chiamate ad aver cura della crescita dei buoni cittadini. Anche i cittadini, però, debbono sapersi prender cura delle istituzioni. Infatti, sovente, sono i cittadini non virtuosi che rendono le istituzioni vuote di valore e ricche di malaffare.
Il vivere eticamente è il prendersi “cura di sé, cura degli altri, cura delle istituzioni” (P. Ricoeur). Si matura la capacità di prendersi cura sin dalla nascita, grazie all’impegno e all’esempio di educatori-accompagnatori e alla vita in ambienti che favoriscono l’esercizio delle virtù. L’etica della cura interagisce con l’etica della giustizia grazie ad un’idea di bene (il cosiddetto bene comune) che accomuna l’io e l’altro. E’ la disponibilità ad “essere pronti” per l’altro che caratterizza l’agire con cura.
Non c’è vita etica senza l’esercizio delle virtù. Mi riferisco principalmente alle virtù umane e civiche che bene interagiscono con quelle promosse dalla religione, anzi ne favoriscono la maturazione. La virtù è una disposizione abituale e ferma a fare il bene.  Le virtù umane sono attitudini ferme, disposizioni stabili, perfezioni abituali dell'intelligenza e della volontà che regolano i nostri atti, ordinano le nostre passioni e guidano la nostra condotta secondo la ragione e la fede. Esse procurano facilità, padronanza di sé e gioia per condurre una vita moralmente buona. L'uomo virtuoso è colui che liberamente pratica il bene. Ogni virtù consente alla persona, non soltanto di compiere atti buoni, ma di dare il meglio di sé. Con tutte le proprie energie sensibili e spirituali la persona virtuosa tende verso il bene; lo ricerca e lo sceglie in azioni concrete”. Così afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica. Alcune virtù hanno la funzione di cardine. Sono la giustizia, la fortezza, la prudenza e la temperanza: «Se uno ama la giustizia, le virtù sono il frutto delle sue fatiche. Essa insegna, infatti, la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza» (Sap 8,7). Attorno ad esse gravitano le altre virtù. La virtù non è declamata ma vissuta, anche nelle piccole scelte ed azioni della nostra quotidianità.
L’appetito del bene orienta nel far diventare il vivere virtuoso uno stile di vita. E’ un buon appetito che sin dall’infanzia spinge ogni persona a diventare protagonista e a spendersi per crescere e per far crescere in maniera eticamente corretta. Penso metaforicamente ad un ristorante che riempie la strada di buoni profumi, presenta piatti che stimolano occhi, pancia e cervello, offre anche la possibilità di imparare a cucinare piatti prelibati e, nel contempo, coinvolge i clienti nel mettere a frutto ciò che sanno fare. L’esempio, l’apprezzamento e il fraterno accompagnamento trascinano verso il bene. Perciò ogni istituzione,  a partire dalla famiglia, deve essere considerata e vissuta come spazio educativo, luogo ove ci si nutre di atti virtuosi.
La stessa attenzione alla legalità, oggi sovente richiamata e manifestata, non ha valore se non è strettamente connessa alla virtù della giustizia e al concreto e quotidiano impegno perché la giustizia sia il modo naturale di essere e di agire di ogni persona e di ogni istituzione.
A proposito, Papa Francesco insiste parecchio sulla necessità di educare al buono, al bello e al vero. Recentemente ha affermato che “ci sono tre linguaggi: il linguaggio della testa, il linguaggio del cuore, il linguaggio delle mani. L’educazione deve muoversi su queste tre strade. Insegnare a pensare, aiutare a sentire bene e accompagnare nel fare. Occorre cioè che i tre linguaggi siano in armonia; che il bambino, il ragazzo pensi quello che sente e che fa, senta quello che pensa e che fa, e faccia quello che pensa e sente. E così, un’educazione diventa inclusiva perché tutti hanno un posto; inclusiva anche umanamente”. Queste sono indicazioni per una via virtuosa.
Siamo tutti chiamati a profumare di virtù, in modo che il buon profumo riempia case, scuole, istituzioni e aiuti ciascuno a maturare quella cittadinanza attiva necessaria a star bene e a risolvere i complessi problemi del nostro tempo. Che il nostro appetito sia sempre “buono” perché è bello, buono e vero!

Giovanni Perrone

lunedì 2 maggio 2016

FAR DONO DEL NOSTRO SORRISO


I TRE SORRISI

“Un evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente una faccia da funerale". La provocazione di Papa Francesco non è una battuta casuale e l'idea che i cristiani appaiano tristi non è nuova: “Dovrebbero cantarmi dei canti migliori, perché io impari a credere nel loro Salvatore! Bisognerebbe che i suoi discepoli avessero un aspetto più da gente salvata", diceva Nietzsche.

Ma come si fa a sorridere quando le preoccupazioni, il lavoro, i piccoli contrattempi e i grandi dolori sono così seri nella vita?

Il primo sorriso è quello fondamentale: ride colui che sta nei cieli, dice la Bibbia. E ancora: la gioia del Signore è la vostra forza. È il sorriso di Dio. La gioia con cui il Creatore contempla ogni sua creatura è il fondamento solido della serenità e della pace di ognuno di noi. Ma non è irriverente pensare che Dio, il Signore dell'universo, sorrida? “Dio deve amarci tanto più in quanto ridestiamo il suo senso dell'umorismo", dice un personaggio creato da Ray Bradbury. “Non avevo mai pensato al Signore come a un umorista", gli viene ribattuto. La risposta è folgorante: “Il creatore dell'ornitorinco, del cammello, dello struzzo e dell'uomo? Oh, ma andiamo!".

Il secondo sorriso è quello con il quale guardo me stesso. Senza perdere di vista la mia umanità, i miei limiti, che non sono necessariamente un difetto e non vanno presi troppo sul serio. Il mio Creatore mi vuole bene così come sono, perché se mi avesse voluto diverso mi avrebbe fatto diverso. “Saper vedere anche l'aspetto divertente della vita e la sua dimensione gioiosa – disse una volta Benedetto XVI – e non prendere tutto così tragicamente, questo lo considero molto importante, e direi che è anche necessario per il mio ministero. Un qualche scrittore aveva detto che gli angeli possono volare, perché non si prendono troppo sul serio. E noi forse potremmo anche volare un po' di più, se non ci dessimo così tanta importanza".

Sorridere è un atto di umiltà, vuol dire accettare me stesso e il mio modo di essere, rimanendo lì dove sono in santa pace. Senza prendermi troppo sul serio, perché “la serietà non è una virtù. Sarà forse un'eresia, ma un'eresia molto più sensata dire che la serietà è un vizio. C'è realmente una tendenza (una sorta di decadenza) naturale a prendersi sul serio perché è la cosa più facile a farsi. La solennità viene fuori dagli uomini senza fatica; invece la risata è uno slancio. È facile essere pesanti e difficile essere leggeri. Satana è caduto per la forza di gravità" (Chesterton).

Il terzo sorriso è conseguenza dei primi due. È il sorriso con il quale accolgo chi incontro per caso e le persone con le quali vivo e lavoro. Con affetto e senza prendere troppo sul serio eventuali sbagli o presunti sgarbi. Con un volto allegro. Madre Teresa di Calcutta, ricevendo il Premio Nobel, spiazzò la platea con questo invito: “Sorridete sempre ai vostri familiari. Regalatevi reciprocamente il vostro tempo in famiglia. Sorridetevi".

Il vestito di un uomo, la bocca sorridente e la sua andatura rivelano quello che è, insegna il Siracide. Il sorriso può essere davvero il segno di riconoscimento caratteristico di un cristiano.

Don Carlo Marchi

Convegno Ecclesiale Firenze, maggio 2015