giovedì 19 settembre 2013

IN CAMMINO DA 40 ANNI


LA MASSARIOTTA, DA QUARANT’ANNI AL SERVIZIO DELL’EDUCAZIONE

Quarant’anni fa, nel 1973, iniziavano le prime attività presso il centro scout della Massariotta, una “Base” (come usano chiamarla gli scout) a pochi chilometri da Marineo e Godrano, posta ai margini del bosco del Cappelliero. Gli scouts marinesi, avendo partecipato nell’estate del 1972 ad un campo nazionale di specializzazione presso la Base scout emiliana di Spettine, sollecitarono l’acquisto, da parte dell’Associazione degli Scout Cattolici Italiani (allora ASCI, oggi AGESCI),  di un ettaro di terreno in Contrada falde del Bosco, ove erano soliti svolgere attività. Fu una  felice scelta che ha dato la possibilità a migliaia di ragazzi, non solo siciliani, di vivere intense ed entusiasmanti avventure educative, nonché di far apprezzare il bosco di Ficuzza e i vari centri abitati della zona, i quali ne hanno avuto un vantaggio culturale ed economico.
 Sin dall’inizio la Massariotta si caratterizzò come “Base nazionale del Settore Specializzazioni Scout”, quel settore che cura principalmente la formazione di adolescenti tramite l’uso delle tecniche tipiche dello Scautismo.  Essa fu la seconda in Italia, dopo quella piacentina, con la quale continua ancor oggi a tenere stretti legami. Tra Piacenza e Marineo iniziò subito una comune progettualità: un fecondo scambio di capi e di esperti nelle varie tecniche pose le fondamenta  del Settore Nazionale Specializzazioni, un Settore che ora conta numerose basi scout situati in varie parti d’Italia. Quello stesso anno la Massariotta ospitò tre campi, tra i quali uno di educazione ambientale. Vi parteciparono un centinaio di scout provenienti, oltre che dalla Sicilia, dalla Puglia, dalla Campania, dal Lazio, dalla Calabria.

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mercoledì 18 settembre 2013

QUARANT'ANNI FA .....

I PRIMI CAMPI DELLA MASSARIOTTA
Quarant'anni fa, dal 18 al 21 e dal 21 al 24 settembre 1973 si svolsero i primi due campi nazionali di Specializzazione della nascente Base della Massariotta. Per problemi logistici  (la Base era priva di strutture) i campi si svolsero ad Alpe Cucco. Al primo campo parteciparono 17 esploratori  provenienti da Messina, Palermo, Trapani, Bari e Marineo. Ecco i nomi: Antonio Abbate, Filippo Cavallaro, Enzo Failla, Vincenzo Militello, Giulio Campo, Francesco Lannino, Raffaele Campo, Rosario La Rosa, Franco Cataldi, Fabio Marino, Biagio De Lio, Biagio Conticello, Mimmo Pierangeli, Eugenio Carico, Riccardo Cangialosi, Piero Muratore e Giuseppe Vaccarino.
Al secondo campo parteciparono 20 esploratori provenienti da Ispica, Bari, Lecce, Palermo, Ancona, Milazzo e Vittoria. Ecco i nomi: Giuseppe Zeffiri, Franco Massarelli, Massimo D'Abicco, Giuseppe Abruzzese, Angelo Di Garbo, Giuseppe Persiani, Antonio Italiano, Claudio Maci, Andrea Vigneri, Giuseppe Muraglie, Michele Borrale, Ettore Ruggiero, Antonio Serafino, Franco Cataldi, Mimmo Pierangeli, Tommaso Carofiglio, Francesco Scarlata, Ciro Maddaloni e Natale Pomo.
I partecipanti svolsero tecniche riguardanti la natura, l'hebertismo, la pionieristica, il pronto soccorso.
Facevano parte degli staff dei campi: padre Salvatore Vitellaro, Giovanni Perrone, Paolo Gorra (da Piacenza), Franco Piazza, Tore Agostini e un  capo pugliese. Tra i rovers in servizio ricordiamo Benedetto Genualdi (poi divenuto sacerdote e direttore della Caritas di Palermo).
Padre Salvatore Vitellaro, Franco Piazza e Benedetto Genualdi

martedì 17 settembre 2013

LA MASSARIOTTA, QUEL SOGNO SEMPRE VIVO

Nel quarantesimo anno della Massariotta continuiamo a pubblicare le testimonianze che ci pervengono.

La Massariotta, 
quel sogno sempre vivo
La Massariotta rappresenta per molti giovani un luogo del presente e del futuro mentre per i meno giovani sicuramente un luogo della memoria. Leonardo Sciascia se fosse stato scout lo avrebbe certamente definito così, e non solamente perché si trova in Sicilia, ma perché riassume l’insieme delle sensazioni nostalgiche insite nel periodo più bello della vita, quello della giovinezza. La possibilità di incontrare e condividere sensazioni ed  esperienze nella laboriosità giornaliera ha plasmato individui che hanno compreso il valore del lavoro e del sacrificio ma soprattutto la gioia e la condivisione del sudore per ogni impresa realizzata, rendendo viva e duratura nel tempo  la metafora che vi si nascondeva. Questa è stata e spero continui ad essere la Massariotta, uno splendido laboratorio di metafore in grado di costruire cittadini responsabili per un futuro che appare sempre più incerto. La scoperta della natura e la simbiosi perduta con essa dovrebbe far  si che esperienze come quella dello Scautismo fossero alla base di una nuova pedagogia. Solo queste parole per descrivere l’importanza nella mia vita di un sogno fatto in Sicilia (sempre per scomodare Sciascia), dell’influenza che tale sogno continua ad avere nel modo con il quale affronto giorno dopo giorno difficoltà e gioie.   Grazie Massariotta!
                                                                                                                                           Luigi Giliberto

.... in me è sempre vivo il ricordo del vero centro emozionale della mia Sicilia, dalla quale manco da anni ma che nella Massariotta trova una delle sue espressioni più vivide!!!!
Mi basta chiudere gli occhi per rivedere le pitture rupestri che dipingemmo durante il campo di specializzazione con ambientazione aborigena in una lontana estate degli anni '80.......mi basta chiudere gli occhi per risentire il dolce sapore ferroso dell'acqua che bevevamo con soddisfazione durante e dopo le attività.......mi basta chiudere gli occhi per rivedere i volti di tanti ragazzi e ragazze oggi uomini e donne in giro per il mondo....migliori di quello che sarebbero stati se non avessero incrociato le loro strade con la Massariotta, crocevia cruciale per chiunque l'abbia vissuta.
 Grazie per averci regalato questo sogno, grazie per la Massariotta!!!
                                                                                                                                       Stefano Cosola

mercoledì 11 settembre 2013

LETTERA DI PAPA FRANCESCO

"... La fede, per me, è nata dall'incontro con Gesù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza. Ma al tempo stesso un incontro che è stato reso possibile dalla comunità di fede in cui ho vissuto e grazie a cui ho trovato l’accesso all’intelligenza della Sacra Scrittura, alla vita nuova che come acqua zampillante scaturisce da Gesù attraverso i Sacramenti, alla fraternità con tutti e al servizio dei poveri, immagine vera del Signore. Senza la Chiesa — mi creda — non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell'immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d’argilla della nostra umanità. Ora, è appunto a partire di qui, da questa personale esperienza di fede vissuta nella Chiesa, che mi trovo a mio agio nell'ascoltare le sue domande e nel cercare, insieme con Lei, le strade lungo le quali possiamo, forse, cominciare a fare un tratto di cammino insieme. .....

domenica 8 settembre 2013

PERCORRERE LE VIE DELLA PACE

Pubblichiamo il testo integrale dell’omelia del Papa per la Veglia di pace in Piazza San Pietro:

«Dio vide che era cosa buona» (Gen 1,12.18.21.25). Il racconto biblico dell’inizio della storia del mondo e dell’umanità ci parla di Dio che guarda alla creazione, quasi la contempla, e ripete: è cosa buona. Questo, carissimi fratelli e sorelle, ci fa entrare nel cuore di Dio e, proprio dall'intimo di Dio, riceviamo il suo messaggio. Possiamo chiederci: che significato ha questo messaggio? Che cosa dice questo messaggio a me, a te, a tutti noi?
1. Ci dice semplicemente che questo nostro mondo nel cuore e nella mente di Dio è la “casa dell’armonia e della pace” ed è il luogo in cui tutti possono trovare il proprio posto e sentirsi “a casa”, perché è “cosa buona”. Tutto il creato forma un insieme armonioso, buono, ma soprattutto gli umani, fatti ad immagine e somiglianza di Dio, sono un’unica famiglia, in cui le relazioni sono segnate da una fraternità reale non solo proclamata a parole: l’altro e l’altra sono il fratello e la sorella da amare, e la relazione con il Dio che è amore, fedeltà, bontà si riflette su tutte le relazioni tra gli esseri umani e porta armonia all’intera creazione. Il mondo di Dio è un mondo in cui ognuno si sente responsabile dell’altro, del bene dell’altro. Questa sera, nella riflessione, nel digiuno, nella preghiera, ognuno di noi, tutti pensiamo nel profondo di noi stessi: non è forse questo il mondo che io desidero? Non è forse questo il mondo che tutti portiamo nel cuore? Il mondo che vogliamo non è forse un mondo di armonia e di pace, in noi stessi, nei rapporti con gli altri, nelle famiglie, nelle città, nelle e tra le nazioni? E la vera libertà nella scelta delle strade da percorrere in questo mondo non è forse solo quella orientata al bene di tutti e guidata dall’amore?
2. Ma domandiamoci adesso: è questo il mondo in cui viviamo? Il creato conserva la sua bellezza che ci riempie di stupore, rimane un’opera buona. Ma ci sono anche “la violenza, la divisione, lo scontro, la guerra”. Questo avviene quando l’uomo, vertice della creazione, lascia di guardare l’orizzonte della bellezza e della bontà e si chiude nel proprio egoismo. Quando l’uomo pensa solo a sé stesso, ai propri interessi e si pone al centro, quando si lascia affascinare dagli idoli del dominio e del potere, quando si mette al posto di Dio, allora guasta tutte le relazioni, rovina tutto; e apre la porta alla violenza, all’indifferenza, al conflitto. Esattamente questo è ciò che vuole farci capire il brano della Genesi in cui si narra il peccato dell’essere umano: l’uomo entra in conflitto con se stesso, si accorge di essere nudo e si nasconde perché ha paura (Gen 3,10), ha paura dello sguardo di Dio; accusa la donna, colei che è carne della sua carne (v. 12); rompe l’armonia con il creato, arriva ad alzare la mano contro il fratello per ucciderlo. Possiamo dire che dall’armonia si passa alla “disarmonia”? Possiamo dire questo, che dall’armonia si passa alla “disarmonia”? No, non esiste la “disarmonia”: o c’è armonia o si cade nel caos, dove c’è violenza, contesa, scontro, paura…
Proprio in questo caos è quando Dio chiede alla coscienza dell’uomo: «Dov’è Abele tuo fratello?». E Caino risponde: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). Anche a noi è rivolta questa domanda e anche a noi farà bene chiederci: Sono forse io il custode di mio fratello? Sì, tu sei custode di tuo fratello! Essere persona umana significa essere custodi gli uni degli altri! E invece, quando si rompe l’armonia, succede una metamorfosi: il fratello da custodire e da amare diventa l’avversario da combattere, da sopprimere. Quanta violenza viene da quel momento, quanti conflitti, quante guerre hanno segnato la nostra storia! Basta vedere la sofferenza di tanti fratelli e sorelle. Non si tratta di qualcosa di congiunturale, ma questa è la verità: in ogni violenza e in ogni guerra noi facciamo rinascere Caino. Noi tutti! E anche oggi continuiamo questa storia di scontro tra i fratelli, anche oggi alziamo la mano contro chi è nostro fratello. Anche oggi ci lasciamo guidare dagli idoli, dall’egoismo, dai nostri interessi; e questo atteggiamento va avanti: abbiamo perfezionato le nostre armi, la nostra coscienza si è addormentata, abbiamo reso più sottili le nostre ragioni per giustificarci. Come se fosse una cosa normale, continuiamo a seminare distruzione, dolore, morte! La violenza, la guerra portano solo morte, parlano di morte! La violenza e la guerra hanno il linguaggio della morte!
Dopo il caos del Diluvio, ha smesso di piovere: si vede l’arcobaleno e la colomba porta un ramo di ulivo. Penso anche oggi a quell'ulivo che rappresentanti delle diverse religioni abbiamo piantato a Buenos Aires, in Piazza de Mayo nel 2000, chiedendo che non sia più caos, chiedendo che non sia più guerra, chiedendo pace.
3. E a questo punto mi domando: E’ possibile percorrere un’altra strada? Possiamo uscire da questa spirale di dolore e di morte? Possiamo imparare di nuovo a camminare e percorrere le vie della pace? Invocando l’aiuto di Dio, sotto lo sguardo materno della Salus populi romani, Regina della pace, voglio rispondere: Sì, è possibile per tutti! Questa sera vorrei che da ogni parte della terra noi gridassimo: Sì, è possibile per tutti! Anzi vorrei che ognuno di noi, dal più piccolo al più grande, fino a coloro che sono chiamati a governare le Nazioni, rispondesse: Sì, lo vogliamo! La mia fede cristiana – la mia fede cristiana – mi spinge a guardare alla Croce. Come vorrei che per un momento tutti gli uomini e le donne di buona volontà guardassero alla Croce! Lì si può leggere la risposta di Dio: lì, alla violenza non si è risposto con violenza, alla morte non si è risposto con il linguaggio della morte. Nel silenzio della Croce tace il fragore delle armi e parla il linguaggio della riconciliazione, del perdono, del dialogo, della pace. Vorrei chiedere al Signore, questa sera, che noi cristiani e i fratelli delle altre Religioni, ogni uomo e donna di buona volontà gridasse con forza: la violenza e la guerra non è mai la via della pace! Ognuno si animi a guardare nel profondo della propria coscienza e ascolti quella parola che dice: esci dai tuoi interessi che atrofizzano il cuore, supera l’indifferenza verso l’altro che rende insensibile il cuore, vinci le tue ragioni di morte e apriti al dialogo, alla riconciliazione: guarda al dolore del tuo fratello – ma, penso ai bambini: soltanto a quelli … guarda al dolore del tuo fratello – e non aggiungere altro dolore, ferma la tua mano, ricostruisci l’armonia che si è spezzata; e questo non con lo scontro, ma con l’incontro! Finisca il rumore delle armi! La guerra segna sempre il fallimento della pace, è sempre una sconfitta per l’umanità. Risuonino ancora una volta le parole di Paolo VI: «Non più gli uni contro gli altri, non più, mai!... non più la guerra, non più la guerra!» (Discorso alle Nazioni Unite, 4 ottobre 1965: AAS 57 [1965], 881). «La pace si afferma solo con la pace: la pace si afferma solo con la pace, quella non disgiunta dai doveri della giustizia, ma alimentata dal sacrificio proprio, dalla clemenza, dalla misericordia, dalla carità» (Messaggio per Giornata Mondiale della pace 1976: AAS 67 [1975], 671). Fratelli e sorelle, perdono, dialogo, riconciliazione sono le parole della pace: nell’amata Nazione siriana, nel Medio Oriente, in tutto il mondo! Preghiamo, questa sera, per la riconciliazione e per la pace, lavoriamo per la riconciliazione e per la pace, e diventiamo tutti, in ogni ambiente, uomini e donne di riconciliazione e di pace. Così sia.

venerdì 6 settembre 2013

7 SETTEMBRE - INSIEME PER LA PACE


SABATO 7 SETTEMBRE - GIORNATA DI PREGHIERA E DI DIGIUNO PER IMPLORARE LA PACE IN SIRIA E NELLE ALTRE PARTI DEL MONDO DILANIATE DALLA VIOLENZA E DALLA GUERRA .... perché ciascuno impari ad essere costruttore di pace.

IL DIGIUNO .... PERCHÉ'? 
IL DIGIUNO CI INSEGNA COSA VALE DAVVERO

Spiazzati un’altra volta, verrebbe da dire dopo aver letto per l’intera settimana le reazioni degli opinion leader e dei giornali sull’invito al digiuno di Papa Francesco. C’è chi non capisce il nesso con l’imminente minaccia di una guerra, come Vittorio Feltri sul Giornale (ma non capire può anche voler dire che mancano categorie di lettura...) e chi invece punta sul discorso della dieta, confondendo i piani. E riducendo al piccolo orizzonte di se stessi.  
Curiosa è poi l’associazione digiuno uguale protesta, quasi che Pannella, con i bagni mediatici di questi anni abbia dettato la linea, esattamente come la detta Bruno Vespa quando fa una delle sue trasmissioni dedicate alle diete che sortiscono l’effetto di non chiarire mai le idee. Ma quella del Papa è davvero un’altra cosa, che implica innanzitutto un desiderio di seguirlo per capire più a fondo cosa voglia dire questo momento storico. Seguirlo nel gesto del digiuno significa cercare un centro, affidarsi a un’idea di distacco che alla fine incide sulla coscienza di ciascuno più che sull’adipe, come hanno ironizzato alcuni. Ciò che, infatti, manca in questo tempo è una coscienza comune rispetto a ciò che vale veramente. 
E il digiuno apre una domanda proprio a questo: cosa vale, per cui conviene "rinunciare" a posizioni personali che possono condurre addirittura a dei conflitti? Certo l’esperienza del digiuno è anche un esercizio alla misura e, materialmente, a ciò di cui abbiamo bisogno, che proprio l’esperienza della fame è capace di risvegliare. Alcuni studiosi di alimentazione hanno rilevato che nella dinamica della Chiesa ci sono tante risposte ai bisogni dell’oggi, anche in fatto di alimentazione. Ma che tutto si riduca poi alla Fast Diet è come troncare la possibilità di conoscere qualcosa di più profondo. 
Come la regola di San Benedetto che codifica la misura (anche il vino, che è indicato in un’emina al giorno, corrisponde più o meno ai due bicchieri che mettono d’accordo quasi tutti i dietologi moderni). Ma il fascino di quella regola sta nel fatto di stare sempre sopra al rischio di dipendere da altro che non sia l’Altro. I monaci, mi spiegò il sociologo Leo Moulin, quando lo conobbi 20 anni fa, mangiano in silenzio non per un misticismo particolare, ma perché in quel modo vivono una tensione al gusto (a ciò che hanno davanti per saziarsi con misura) e poi perché si educano a essere attenti alle esigenze del vicino. 
Esigenze concretissime: gli manca il sale e glielo passo, gli manca l’acqua e gliela verso. In questo modo mangiano esattamente come se pregassero con il recto tono, realizzando un unisono, ossia una comunione anche in quel gesto molto concreto e materiale. Ma pensiamo solo se in un normale pranzo a casa nostra avessimo le medesime attenzioni (ma anche solo un centesimo) dei monaci intorno alla loro mensa. Detto questo, il digiuno di Papa Francesco a me sembra un fantastico invito alla comunione, sedimentata dal silenzio, che può far molto di più dei tanti "ma" e dei tanti "se", che coinvolgono le povere discussioni di questi giorni. E se il segreto per capire fosse semplicemente provare a seguire senza retropensieri quello che dice il Papa? Costa proprio così tanto?
                                                                                                                                   Paolo Massobrio

Avvenire, 6 settembre 2013