domenica 17 agosto 2014

DALLA ROUTE NAZIONALE - LO SCAUTISMO, RISORSA PER L'EDUCAZIONE DEI GIOVANI

Chiavi di lettura di una realtà giovanile 

SCOUT, TRE NOVITÀ SULLA VITA COMUNITARIA


Formazione, contaminazione, reciprocità



L'attenzione riservata dai mass media agli scout dell’Agesci in questo agosto 2014 rappresenta un evento inusuale per chi segue la cronaca estiva delle manifestazioni e dei raduni, incontri sempre importanti e significativi per la comprensione del clima e dei sentimenti diffusi nel Paese. Soprattutto chi guarda con apprensione e speranza agli umori della componente giovanile della società, e in particolare a quelli dei gruppi giovanili di ambito cattolico, non può non essere stato colpito dalla nuova visibilità tributata al movimento scout nella stampa nazionale e nei principali canali televisivi in occasione della Route nazionale di San Rossore.

Non che lo scautismo cattolico non abbia già avuto modo di guadagnare in passato stima e simpatie, per l’azione educativa che svolge nei confronti delle fasce giovanili dagli 8 anni in poi secondo un modello di formazione e uno stile comunitario originali e completi. Dalle regole di vita della legge scout alla capacità di orientarsi e muoversi con rispetto e sicurezza nella natura; dalla organizzazione in piccoli gruppi alla pratica del servizio a favore dei più deboli; dalla espressione di sé attraverso il canto e la recitazione alla spiritualità; dallo sviluppo delle competenze individuali al cammino come scuola di vita.

Fino a oggi, però, quella stima e quella simpatia hanno trovato riconoscimento in una cerchia relativamente ristretta di ambienti sociali, mentre al di fuori di essi il movimento scout viene spesso visto come una sorta di curiosa anomalia, rispetto alle mode e alla 'normalità' della condizione giovanile nel sul complesso, un qualcosa da guardare con ammirazione, ma anche con un po’ di sospettoso distacco. Perché mentre il mondo sembra andare inevitabilmente verso l’individualismo consumistico, gli scout insegnano la comunità, l’essenzialità, la governance partecipativa e ferma e il valore della strada e del progresso per piccoli passi.

Mentre troppi giovani sviluppano un desiderio, per lo più scomposto, di emozioni di facile e superficiale consumo, gli scout insegnano la riflessione, l’impegno, la ricerca di sé, la fraternità, la spiritualità. Mentre il mondo va verso un intellettualismo sterile e verso la fuga nel virtuale, gli scout insegnano la manualità, lo sforzo fisico, la vita nella natura. Mentre tutto sembra spingere verso un pessimismo cosmico, gli scout predicano l’ottimismo della volontà. Mentre le generazioni si allontanano e la trasmissione della vita e dei valori sembrano non interessare più, gli scout parlano di scambio intergenerazionale e di educazione attraverso l’esempio.

Sarebbe interessante, ma lungo e complesso, interrogarsi sui motivi della nuova visibilità dello scautismo (la numerosità dei partecipanti, la presenza del presidente del Consiglio). Vale piuttosto la pena chiedersi cosa possiamo aspettarci da questa nuova visibilità o cosa ci auguriamo che avvenga. Le potenzialità dei media oggi sono una realtà di fatto, ma non sempre la connessione tra sociale vissuto e amplificazione da parte dei mezzi di comunicazione di massa produce gli effetti desiderati, come si deduce da ciò che è accaduto con i social network e con alcuni recenti movimenti di espressione sociale e politica (anti-nucleare, no-tav, ecologisti, popolo viola, indignados ecc.).

Sarebbe davvero un bel risultato se la maggiore comprensione del movimento scout, da parte di gruppi sociali e persone che sinora poco lo hanno conosciuto, desse vita a una riflessione meno scontata su tre aspetti centrali per la vita comunitaria. Innanzitutto, l’importanza del lavoro da effettuare su se stessi, e quella dei cambiamenti che una educazione sana può facilitare dall’interno nella persona umana, e il valore dell’educazione a differenza di forme di movimentismo strumentali alla conquista di posizioni di potere. In secondo luogo, il valore della contaminazione con la diversità, sia che si tratti degli emarginati, che dei portatori di handicap o degli avversari politici. Infine il significato della reciprocità, come volano per una forza innovativa coraggiosa, quella che passa attraverso il riconoscimento delle competenze come base per la gestione di processi comunitari di sviluppo, da contrapporre a molte delle consuetudini regressive in uso delle organizzazioni del nostro tempo.
 

Carla Collicelli, in Avvenire, 16 agosto 2014


sabato 16 agosto 2014

TERRA, MARE, CIELO .... PER CONTEMPLARE

Nel Salmo 46 il Signore esorta i credenti a vedere le meraviglie che opera per gli uomini, a contemplare il giorno in cui farà cessare le guerre e poi impartisce loro un comando: “Fermatevi e sappiate che io sono Dio”. La Vulgata fedelmente traduce: “Vacate et videte quoniam ego sum Deus”. “Vacate”, cioè fermatevi, da cui l’italiano “vacanza”.
Sì, le vacanze sono giorni in cui ci si ferma, si lascia il proprio lavoro, si abbandonano i riti quotidiani, si parte dal luogo abituale per dimorare in un luogo diverso, più o meno lontano, un luogo “altro”, al mare, in montagna, in collina, visitando città. Questo Salmo – che stamane ho pregato insieme ai miei fratelli e alle mie sorelle – mi ha suggerito che in vacanza, una volta che ci si è veramente fermati per vivere quiete e silenzio, si possono vedere le opere di Dio, ci si può esercitare a contemplarle.
Il rischio, infatti, è quello di vivere le vacanze freneticamente, inventandosi mille cose da fare pur di non fermarsi, di non ascoltare il silenzio, di non cogliersi come creatura che vive e respira in mezzo a tante altre co-creature sulla terra: una terra che a volte si congiunge al mare, una terra sopra la quale si stende il cielo, tenebroso di notte, solare di giorno. Le vacanze, dunque, non sono forse il momento di pensare semplicemente alla terra, al mare, al cielo? Non solo il tempo per cercare di cogliere queste tre dimensioni che costituiscono il nostro quotidiano, ma che nel quotidiano ci sfuggono?  ....

domenica 10 agosto 2014

SULLE STRADE DEL CORAGGIO- La telefonata del Papa e l'omelia del Card. Bagnasco alla Route nazionale RS

PAPA FRANCESCO TELEFONA
 AGLI SCOUT

“Saluto tutti voi, cordialmente. E sono felice di questo vostro raduno. Mi spiace di non essere potuto venire, ma vi accompagno da qua, con molto affetto. Vi auguro che queste strade di coraggio, che sono diritte al futuro, siano per voi un grande bene. Coraggio! Questa è una virtù e un atteggiamento dei giovani. Il mondo ha bisogno di giovani coraggiosi, non timorosi. Di giovani che si muovano sulle strade e non che siano fermi: con i giovani fermi non andiamo avanti! Di giovani che sempre abbiano un orizzonte per andare e non giovani che vanno in pensione! E’ triste! E’ triste guardare un giovane in pensione. No, il giovane deve andare avanti con questa strada di coraggio. Avanti voi! Questa sarà la vostra vittoria, il vostro lavoro per aiutare a cambiare questo mondo, a farlo molto migliore. So che avete riflettuto sull'Apocalisse, pensando alla Città Nuova. Questo è il vostro compito:  fare una città nuovaSempre avanti con una città nuova: con la verità, la bontà, la bellezza che il Signore ci ha dato.
Cari giovani, cari ragazzi e ragazze vi saluto di qua e vi auguro il meglio. Non abbiate paura, non lasciatevi rubare la speranza. La vita è vostra! E’ vostra per farla fiorire, per dare frutti a tutti. L’umanità ci guarda e guarda anche a voi in questa strada di coraggio. E ricordatevi: la pensione arriva a 65 anni! Un giovane non deve andare in pensione, mai! Deve andare con coraggio avanti.
Prego per voi e chiedo al Signore che vi dia la benedizione.
Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
E, per favore, vi chiedo di pregare per me”.

 L'OMELIA DEL CARDINALE BAGNASCO

“Cari Amici, venire tra voi è come tornare a casa! Vi porto anche la gratitudine e la stima dei Vescovi italiani. Siamo tutti segnati dalla strada, esperienza che riassume le stagioni della vita. Mi rallegro del percorso educativo – adorazione, catechesi, riconciliazione – che avete fatto in preparazione alla Route Nazionale”.
Così si è espresso il Card. Angelo Bagnasco nel presiedere  la S. Messa a conclusione della Route Nazionale dell’Agesci. Vi hanno preso parte 30 mila scout, riuniti nel parco di San Rossore.
Il Cardinale Presidente ha declinato il coraggio – “questa magica e umanissima parola, che Gesù ha usato per spronare la sua “squadriglia” apostolica – in tre direzioni: il coraggio di essere liberi, il coraggio di amare e il coraggio di essere cristiani.

martedì 5 agosto 2014

CERCASI INTRAPRENDENZA ... PER ANDARE VERSO IL DOMANI

ALI PER VOLARE

Stupisce la fresca energia di Papa Francesco, nonostante la sua non giovane età.  Assume iniziative, anche al di là dei tradizionali e consolidati schemi protocollari;   ha il coraggio di osare, mette a rischio la sua stessa vita. L’intraprendenza del Sommo Pontefice non è episodica, frutto del desiderio di apparire o di temporanee agitazioni.  Essa proviene da un chiaro progetto di vita, maturato sin da giovane, che dà al Papa il coraggio e la capacità di gestire uno dei ruoli più significativi del mondo,  facendolo diventare uno degli uomini più apprezzati a livello universale. Egli sa trattare alla pari con autorevoli capi di Stato e con poveri barboni, con credenti e non credenti. Non ama perdersi in chiacchiere, ma cerca sempre di andare al sodo.
Questa energia travolgente meraviglia anche gli stretti collaboratori del Papa. Sin dal primo mattino viene opportunamente nutrita e sostenuta da spazi di riflessione e di preghiera. E’ caratterizzata da viva fede, intelligenza, creatività, capacità di guardare oltre, in alto, nel profondo e lontano,  perenne interrogarsi per trovare percorsi idonei alla risoluzione dei numerosi problemi presenti nell'uomo e nel mondo d’oggi. Le sue parole, oltre ad incarnarsi nella realtà quotidiana, indicano con semplicità e con chiarezza  vie nuove e strategie d’intervento.
Papa Francesco ha molto da insegnare sia all’uomo di strada sia al potente di turno, sia al giovane sia all’anziano. Non sta, come tanti suoi coetanei, seduto in panchina, ad osservar chi passa e a parlar del tempo che fu, dei  guai propri o del malaffare altrui, nella sterile attesa di ciò che accadrà.
L’attuale società ha bisogno di questi “profeti” e maestri, capaci di scuotere il nostro quotidiano torpore. Giovani ed adulti abbiamo urgente necessità di divenire intraprendenti. L’intraprendenza è un modo di essere che matura, o si ostacola, sin dalla nascita. Ogni persona nasce con le “ali”, che possono essere aiutate a svilupparsi o essere tarpate. Già nel bambino c’è il desidero innato di correre, esplorare, sperimentare, darsi da fare, interrogarsi ed interrogare. Ogni nascita è, infatti, un’apertura al nuovo sole, un sole che riscalda e dà energia. Talvolta, purtroppo, sin dall’infanzia, invece di sperimentare il calore e l'energia del vivere umano, si è costretti a vivere nella tiepidezza e nella noia e tante inutili paure (o fisime?), specialmente degli adulti, creano persone sterili, paurose, talvolta arroganti. La grave crisi occupazionale - frutto dei grandi cambiamenti che stanno avvenendo nel mondo, ma anche di scelte sbagliate e talora di malaffare, nonché di corta visione – non si risolverà facilmente. Perciò a livello personale e sociale occorre mutare modi di essere e di fare, maturare responsabilità e stili idonei ad affrontare il futuro ed a costruire il bene comune. E’ vero, non sempre è facile essere intraprendenti; la volontà di tanti giovani si scontra con la dura realtà, ci sono mille occasioni d’insuccesso e scoraggiamento. Rispetto ai nostri giovani, che in gran parte vivono in ambienti protetti ed assistiti, sviluppano maggiore intraprendenza ed hanno maggiore fecondità fisica ed intellettuale le migliaia di stranieri che, in mezzo a mille pericoli e vessazioni, arrivano quotidianamente, stremati,  alle nostre coste, pronti a far di tutto per sopravvivere.
Il futuro nostro e del mondo è stato, è e sarà in mano alle persone intraprendenti. Speriamo che ogni forma d’intraprendenza sia sempre legata all’onestà e al comune impegno per costruire ciò che è veramente buono per l’uomo e per la società. L’intraprendenza, per non essere un vano ed estemporaneo agitarsi, deve essere supportata – sia a livello personale sia istituzionale – da solidi ideali, dal coraggio di osare, dalla fiducia in se stessi e negli altri, dall’ottimismo, dalla capacità di gestire i rischi e gli imprevisti, dalla competenza, dal saper guardare con speranza verso il futuro. Non è intraprendenza lo stupido e folle “coraggio” dell’intontirsi di alcool e di droghe esercitato nelle insonni notti della nostra società, ma il coraggio di volare in alto, facendo del proprio meglio per realizzarsi pienamente e per far vivere bene persone ed istituzioni. Mi riferisco anzitutto alla qualità della vita, a quel ben-essere fisico e spirituale, non strettamente connesso alla quantità di denaro posseduto.
Quale spazio c’è nelle nostre famiglie, nelle nostre scuole, nelle nostre comunità ed istituzioni per maturare percorsi di intraprendenza e di vero ben-essere? I nostri ragazzi, le nostre famiglie, le nostre istituzioni respirano aria di coraggio o di paura? di generoso impegno o di sterile passività’? di assistenzialismo o di attivo protagonismo? di sfiducia e diffidenza o di fiducia e apertura? La vera intraprendenza si avvale della preziosa cooperazione tra giovani ed anziani, della feconda interazione tra esperienza ed utopia, del generoso impegno personale e sociale, del quotidiano darsi da fare per essere utili a se stessi e agli altri. Essa non produce denaro facile, ma favorisce l’acquisizione di un forte carattere e di abitudini e competenze spendibili nell'arco  di tutta la vita.
E’ ben noto che il costante impegno – sin da piccoli - nelle associazioni e nelle molteplici attività di vero ed attivo volontariato favorisce lo sviluppo di capacità imprenditoriali. Tale generoso impegno sociale si è dimostrato una buona strada per conquistare quel successo che garantisce qualità di vita e gioia di vivere, una gioia che spinge a far del proprio meglio e che si sparge attorno a noi, dando luce e calore all’ambiente in cui viviamo. Grandi sfide attendono noi, le nostre istituzioni, le nazioni. Nessuno stia a guardare, aspettando un treno che forse tarderà a passare;  non vale la pena scoraggiarsi o piangersi addosso o imprecare contro il potente di turno. E’ opportuno, dunque, darsi da fare, mettersi in cammino. Solo chi cammina raggiunge una meta. Per volare occorre avere ali leggere e una buona meta ove andare, mirare verso l’alto e lontano e sapersi orientare e riorientare, superando ogni paura. Un antico proverbio siciliano dice che “cu nesci arrinesci”, “chi va fuori fa fortuna”. Non è tanto l’andar lontano dalla propria terra, ma anzitutto il  saper uscire dal chiuso di se stessi, dalla gabbia delle cattive abitudini, dal torpore dell’ignavia e della mediocrità, dalle nebbie della disperazione, dalle sterpaglie dell’arroganza, dai letamai del pettegolezzo, per mettersi in cammino – singole persone ed istituzioni - verso ciò che è buono, bello e vero. Il futuro avanza, non possiamo stare alla finestra.
                                                                                                                                   

                                                                                                                                  Giovanni Perrone

domenica 3 agosto 2014

PAPA FRANCESCO AGLI SCOUTS IN ROUTE

Francesco agli scout: “Compassione, condivisione, Eucarestia”

 
 Papa Francesco saluta e benedice i rover e le scolte in cammino “verso il grande raduno nazionale a San Rossore”. Al termine dell’Angelus, il Pontefice ha voluto salutare “gli scout dell’Agesci presenti oggi con una benedizione per le migliaia di scout italiani” partiti da un paio di giorni per la Route nazionale. E si è raccomandato: “Ricordatevi: compassione, condivisione ed Eucarestia”, ha detto subito dopo il ‘pensiero’ rivolto agli scout e riprendendo i tre temi toccati poco prima nel commento al Vangelo in cui si racconta la moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Il saluto del Papa è stato ricambiato dagli scout oggi in piazza nonostante la pioggia (“Saluto voi coraggiosi sotto la pioggia, fedeli di Roma e pellegrini di diversi paesi”, aveva detto poco prima Francesco al termine dell’Angelus): Francesco ha sentito le loro grida ed applausi per lui e, dalla finestra a cui era affacciato, li ha ricambiati con un gesto di saluto.
Commentando il Vangelo, il Papa ha insistito molto sui tre messaggi che contiene ed esprime. Il primo, la compassione: di fronte alla folla che lo rincorre, “e per così dire non lo lascia in  pace, Gesù non reagisce con irritazione, non dice ‘questa gente mi dà fastidio’: no, no; reagisce con un sentimento di compassione, perché sa che non lo cercano per curiosità, ma per bisogno”. E compassione allora non “è semplicemente sentire pietà”, ma “immedesimarsi nella sofferenza degli altri al punto di prenderla su di sé: Gesù soffre insieme a noi, con noi e per noi e il segno di questa compassione sono le numerose guarigioni da lui operate”. Gesù dunque “ci insegna ad anteporre alle nostre esigenze, pur legittime, quelle dei poveri che non hanno il necessario per vivere. Parliamo spesso dei poveri – ha sottolineato Papa Francesco- ma quando ne parliamo, sentiamo che quell’uomo, quella donna, quei bambini non hanno il necessario per vivere?”. Non hanno cioè “da mangiare, da vestirsi, le medicine, la possibilità di andare a scuola?”.
Poi c’è la condivisione: e qui Papa Francesco invita a confrontare la reazione dei discepoli e con quella di Gesù. Di fronte a gente stanca e affamata, i discepoli pensano che sia meglio mandare via le persone. Gesù invece dice: “date loro voi stessi da mangiare”.  Due reazioni diverse “riflettono logiche opposte: i discepoli ragionano secondo le logiche per cui ciascuno deve pensare a sé stesso, come se dicessero ‘arrangiatevi da soli’. Gesù ragiona invece secondo la logica di Dio che è quella della condivisione. Quante volte ci voltiamo da un’altra parte pur di non vedere i fratelli bisognosi? E questo guardare da un’altra parte è un modo educato di dire, in guanti bianchi, ‘arrangiatevi da soli’; questo non è Gesù, è egoismo”. Se Gesù avesse congedato le folle, tante persone sarebbero rimaste senza mangiare, invece sfama “tutti”. E “non è una magia- evidenzia il Papa- ma un segno che invita ad avere fede in Dio padre provvidente che non fa mancare il pane quotidiano se sappiamo condividerlo con i fratelli”.
Infine, il prodigio dei pani preannuncia l’Eucarestia. Gesù recita la benedizione prima di spezzarli e distribuirli alla gente, lo stesso gesto dell’ultima cena in cui dona pane di via eterna. “Dobbiamo andare all’Eucarestia con compassione, con voglia di Gesù, cioè di condivisione; chi va all’Eucarestia senza avere compassione dei bisognosi e senza condividere, si trova non bene con Gesù”.
 Compassione, condivisione ed Eucarestia sono un ‘messaggio’ forte per chi è in cammino, in Route: sono, dice il Papa, il cammino che “Gesù ci indica” e che porta “ad affrontare con fraternità i bisogni di questo mondo e che ci conduce oltre questo mondo perché parte da Dio e ritorna a lui”.

venerdì 1 agosto 2014

LIBERI, INTELLIGENTI, FELICI

ALLA RICERCA DELLA FELICITA? 
 NON ALIENIAMOCI, PER FAVORE!



 Sapete che cosa è un “rave”? Questa parola inglese, che significa “delirio”, si riferisce ai grandi raduni musicali che si svolgono in posti isolati, lontani dai centri abitati. Possono durare giornate e notti intere, senza sosta. A volte sono caratterizzati da un consumo di droga ed alcolici molto elevato.
Il principale strumento di autodistruzione dei giovani si chiama “ecstasy”, una pillola colorata che viene diffusa in certi rave. Tra gli elementi che ne hanno favorito la diffusione c’è sicuramente la sua apparenza innocua. Si ingerisce con facilità e non desta le preoccupazioni di altri tipi di droga (come, ad esempio, il rischio di contrarre l’Aids).
L’ecstasy ha un aspetto simpatico, accattivante. Non a caso, viene spesso offerta sotto forma di pastiglie raffiguranti personaggi dei cartoni animati (riprodotti illegalmente). Si tratta di disegni ingannevoli, che hanno lo scopo di nascondere la natura pericolosa di ciò che viene consumato.
La trappola dell’ecstasy consiste nel dare ai ragazzi l’illusione di assumere dei superpoteri, come certi eroi del mondo dei fumetti. Produce uno stato di eccitazione del tutto innaturale e una perdita di consapevolezza delle reazioni del proprio corpo.
A volte, nei rave, il ritmo della musica è talmente frenetico che l’ecstasy diventa una specie di carburante necessario per poter stare al passo con ciò che si ascolta. Musica e droga diventano una cosa sola. Si nutrono e si sostengono reciprocamente. Ognuna, per esistere, ha bisogno dell’altra.
Il rischio mortale è legato al possibile colpo di calore, dovuto all’eccessiva attività fisica e all’aumento critico della temperatura corporea. Ci si illude, per poco, di diventare superuomini. Ma poi, gli effetti di certe sostanze possono essere devastanti.
Un’altra riflessione da fare è su come sia cambiato il modo di consumare droga tra le nuove generazioni. Negli anni sessanta l’uso di stupefacenti era spesso accompagnato da correnti di pensiero o movimenti culturali. Ad esempio, quello dei cosiddetti “figli dei fiori”.
Le droghe nascondevano il loro volto di morte dietro una parvenza di ideali, anche se discutibili. In molti casi, si trattava di valori condivisi da tanti giovani in buona fede. Ad esempio: il rifiuto della guerra e del consumismo, unito al desiderio di una fratellanza universale.
Anche in quell’epoca la droga uccideva i ragazzi. Ma ciò avveniva in una sorta di clima pseudoculturale apparentemente più nobile ed elevato, che ne mascherava abilmente tutto lo squallore.
Oggi la droga si presenta nuda, a viso scoperto. Non ha più bisogno di nascondersi dietro falsi ideali. L’ecstasy è la pura espressione del nulla, del vuoto e del non-pensiero assoluto. Non a caso, il suo scenario ideale è quello di certi rave, dove regnano suoni assordanti e ritmi martellanti.
Il più grave fattore di rischio è rappresentato dal fatto che l’ecstasy viene erroneamente considerata una droga accettabile, con la quale molti adolescenti si illudono di riuscire a convivere. Chi la consuma rifiuta l’idea di essere un drogato. Pensa semplicemente di vivere un momento di trasgressione, per poi tornare a condurre una vita normale. Ma è solo un inganno. Col passar del tempo, i danni sul fisico cominceranno a manifestarsi.
La migliore risposta a certi meccanismi di degrado è quella di invitare i giovani a riscoprire il vero significato del divertimento, attraverso l’educazione ad una sana cultura del limite. Per trascorrere una serata rilassante con gli amici non è necessario fare troppo tardi, ubriacarsi o drogarsi. Basta controllarsi ed imparare a gestire con intelligenza la propria libertà.
Si può essere liberi, intelligenti e felici. Così come siamo, senza bisogno della droga!
                                                                                                                                   Carlo Climati
www.zenit.org - 1.8.2014