venerdì 31 maggio 2013

TESTIMONI DI GIOIA E DI GENEROSO IMPEGNO

"LA GUIDA E LO SCOUT SORRIDONO E CANTANO ANCHE NELLE DIFFICOLTÀ"
La gioia è una condizione necessaria per l’annuncio di Cristo risorto  ( e per essere buoni educatori e per vivere pienamente la vita associativa, aggiungiamo noi). Papa Francesco ha già espresso tale concetto in vari momenti del suo inizio di pontificato e stamattina l’ha ribadito durante l’omelia per la Santa Messa mattutina a Santa Marta. Papa Francesco ha osservato come la parola “gioia” appaia sia nella Prima Lettura di oggi (Sof 3,14-17) che nel Vangelo (Lc 1,39-56): quest’ultimo in particolare riporta l’incontro tra Maria e sua cugina Elisabetta, il cui figlio “esulta di gioia” nel grembo, all’udire le parole della Madre di Dio. Ciononostante la gioia non è un tratto così scontato nella vita di tanti cristiani. “Non siamo più abituati a parlare di allegria”, anzi “credo che tante volte ci piacciano più le lamentele”, ha sottolineato il Papa. tal proposito, il Santo Padre ha citato le parole del suo predecessore Paolo VI “che diceva che non si può portare avanti il Vangelo con cristiani tristi, sfiduciati, scoraggiati”. L’autentico “creatore della gioia” è lo Spirito Santo che “ci dà la vera libertà cristiana”. Senza gioia, noi cristiani “non possiamo diventare liberi”, al contrario “diventiamo schiavi delle nostre tristezze”, ha aggiunto. Al punto che talora molti cristiani sembrano “andare più ad un corteo funebre” che non “a lodare Dio”. La lode a Dio, ha poi spiegato il Papa, avviene quando si esce da se stessi “gratuitamente, com’è gratuita la grazia che Lui ci dà”. Lodare Dio, è qualcosa di più che un semplice ringraziamento e l’eternità consisterà proprio nella lode a Lui: “E quello non sarà noioso, sarà bellissimo!”. La gioia della lode “ci fa liberi”, ha aggiunto. Modello di gioia e di lode a Dio è la Vergine Maria che, non a caso, la Chiesa chiama “causa della nostra gioia”, poiché “porta la gioia più grande che è Gesù”, ha ricordato Francesco. Il Santo Padre ha concluso l’omelia esortando a “pregare la Madonna,perché portando Gesù ci dia la grazia della gioia, della libertà della gioia”.
Come può chi testimonia sfiducia e scoraggiamento, chi fa della sua vita un continuo brontolio e malumore …. educarsi ed educare alla vita, impegnarsi in associazione, testimoniare la gioia del generoso servizio alla comunità? Occorre imparare a sorridere a se stessi, agli altri, ad ogni nuovo mattino che viene, non sprecare tempo ed energie nel brontolamento, ma darsi da fare per essere utili a se stessi e alla comunità. Occorre imparare a spazzar via le nuvole che talora opprimono le nostre giornate per far risplendere pienamente il sole, farà bene a noi stessi e agli altri. L’Associazione, in particolare, è basata sul dono reciproco di gioia attraverso il generoso impegno nel farsi dono agli altri. Solo chi spera nel futuro può incamminarsi verso il domani ed orientare gli altri.
"Oggi c'è molto bisogno di calma e buonumore. Sono - si può dire- le due qualità più importanti. Esse vengono, in larga misura insegnate con l'esempio e quindi non possono esserlo da chi è brontolone, nervoso, egoista o anche litigioso ... L'ottimismo è una forma di coraggio che dà fiducia agli altri e conduce al successo. ... Il sorriso e la buona azione sono le nostre specialità. La loro mancanza nel cittadino medio è all'origine di molti nostri mali ... Se fate il vostro lavoro allegramente, esso diventa per voi quasi un piacere, e per di più con il vostro buonumore farete diventare allegri anche quelli che vi circondano. Questo fa parte  dei doveri di ogni scout ... Se fate felici gli altri, rendete felici anche voi stessi".   - Baden-Powell
"Essere giovani vuol dire tenere aperto l'oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro".  Bob Dylan


                                                                                                                                           

martedì 21 maggio 2013

ESPLORARE L'AMBIENTE



A cosa serve l’ambiente, agli scout … ed agli altri ragazzi

Parlando di ambiente possono venire in mente due accezioni completamente differenti, ambedue limitate ma da prendere realisticamente in considerazione per poterne valutare possibilità e limiti.
Innanzitutto una visione conservativistica, propria di alcuni cultori dei bei tempi passati, di cui l’ambiente è emblema e testimonianza. Propria di questa visione è la suggestione che brilla negli occhi di chi, guardando un tramonto su una costiera marina su cui si staglia un gruppo di case, cerca di distoglierne lo sguardo per cercare di immaginare il paesaggio come potesse essere prima dell’inurbamento, oppure, peggio, non si pone neanche il problema di quando queste case siano state costruite, considerandole soltanto come un elemento di disturbo. Ovviamente, questa visione è più degli adulti che dei ragazzi, i quali hanno sistemi di riferimento meno legati al passato e, purtroppo, minore capacità di cogliere le modificazioni che abbiano avuto luogo nel tempo, dal momento che il loro tempo è quello attuale, nel quale vivono …
La seconda accezione è quella del tutto intorno a me, in funzione di me, che una certa pubblicistica tende ad enfatizzare per suggerire il piacere del possesso. Questa visione suggerisce che l’ambiente è a mia disposizione, che lo posso sfruttare, o almeno modificare a mio piacimento e che gli unici limiti sono costituiti dalle leggi che, purtroppo, lo tutelano.
Ambedue le visioni prescindono “da me” come parte dell’ambiente; il fatto che io ne faccia parte non è così scontato, e questo spiega perché sia tanto diffuso il termine “schifo” usato nei confronti di cose sporche o talvolta semplicemente al di fuori di una sfera semplicemente personale.
Spesso sono proprio i genitori ad utilizzare questa parola, probabilmente in buona fede, per tutelare la pulizia o la cautela nei confronti di piccoli insetti con cui si possa venire in contatto, o che più semplicemente vediamo durante una passeggiata o su una pianta. Allora il fango “fa schifo”, una mosca o ancor peggio un modesto ragnetto scatenano reazioni inconsulte se non addirittura panico e, a seguire, un colpo di mano per sopprimerli.
  L’atteGgiamento educativo, purtroppo spesso solo a parole, può far riflettere sul fatto che siamo noi che entriamo nell’ambiente di vita di questi insetti, che il fango è semplicemente terra bagnata, e che da esso può nascere o perpetuarsi la vita di piante e fiori che siamo in grado di apprezzare e che ci danno piacere.
L’ambiente, ed i suoi abitatori, i suoi componenti, gli elementi naturali strutturanti, possono aiutarci veramente tanto ad acquisire un senso di relatività rispetto al nostro io, alle nostre false sicurezze, che purtroppo molto spesso si fondano su esperienze virtuali, su un rapporto con cose e sensazioni controllate e prive di incognite con cui confrontarsi.
L’ambiente invece il più delle volte è complesso, non se ne ha il controllo completo, molto spesso non è neanche sufficiente un atteggiamento di umiltà e di curiosità nel cercare di conoscerlo, ma si ha bisogno di scoprirlo insieme ad altri, con cui confrontare le acquisizioni ed i dubbi, con cui sperimentare insieme le proprie reazioni di fronte a situazioni impreviste; o scontate ma di cui nel passato non si era stati in grado di comprendere bene i confini.
L’ambiente allora come palestra di sperimentazione ed apprendimento, come “ventre caldo” in grado di proteggerci e gratificarci, oppure di metterci in crisi per fare emergere il meglio di noi.
Di fronte a questa realtà l’ambiente è allora un elemento educativo insostituibile, per un capo scout, ma anche per un insegnante, un genitore, un nonno, che possa tramite esso vedere un bambino, un ragazzo all’opera, studiare i suoi comportamenti e le sue reazioni, aiutarlo a tarare i suoi sforzi o superare le sue difficoltà. 
  Specialmente se questo relazionarsi con l’ambiente può avvenire in compresenza con altri coetanei, il ragazzo acquisisce una progressiva sicurezza con se stesso, nei confronti degli altri e delle cose, che riesce finalmente a collocare in un giusto rapporto con se stesso e col resto del suo mondo.
L’esperienza vissuta con i ragazzi delle scuole (mi piace dire “non antropizzati” dallo scoutismo, nel senso che non danno per scontato il contatto con la natura, le escursioni o l’utilizzo delle proprie mani per realizzare quello che occorre loro per vivere all'aperto  mi porta a dire serenamente che questa educazione attraverso l’esercizio dell’ambiente, per gli stimoli che esso può dare, viene subito apprezzata anche dai ragazzi considerati più difficili dai loro insegnanti.
Di fatto essi trovano un nuovo modo di relazionarsi col proprio corpo, con la fatica e la fame, con stimoli sensoriali diversi per cui riscoprono olfatto e tatto rispetto agli inflazionati vista ed udito, esercitati con la consuetudine da gameboy o Nintendo.
         Dopo pochi “che schifo”, a fronte dei quali bastano poche parole di spiegazione, di “dove ci si trova”, di “chi è questo territorio”, magari con un po’ di riluttanza ma in genere abbastanza presto, i ragazzi si calano nella realtà reale, in cui toccano, operano, si confrontano, interagiscono, azionano finalmente tutti i loro sensi e, devo dire con naturalezza, il loro cervello … Scoprono più facilmente di essere persone tra persone, piuttosto che allievi con insegnanti. Subito dopo prendono gusto ad una nuova dimensione di esplorazione, inconscia e forse all’inizio un po’ timorosa, del posto in cui si trovano. E si cominciano a divertire.
Devo dire la verità, a saperle esercitare queste dinamiche si possono creare anche in ambienti che teoricamente sono ben conosciuti, quali una sede scout o una classe. O meglio ancora il cortile della scuola di cui si crede di conoscere tutto, essendoci magari stati per i cinque anni delle elementari …
  Più si ritiene banale l’ambiente in cui si è abituati a vivere,  e maggiormente scatta la gratificazione nel riconoscere in esso aspetti mai considerati prima, ci si sente come dei veri esploratori, o come quei detective televisivi che riescono a mettere insieme indizi magari sotto gli occhi di tutti, ma che finora non avevano svelato i loro segreti. Il ragazzo è curioso per natura, vuole allargare la sua area di conoscenza e di rispetto e non lo facciamo spesso accorgere che essa a sua disposizione, appena che voglia mettersi alla prova o che qualcuno non lo sfidi a farlo.
Baden-Powell in merito alla fantasia ed alla creatività diceva che occorrerebbe riuscire a vedere i bufali indiani negli stagni di Kensington Park, al centro di Londra. Quanti di noi sono in grado di proporre alla fantasia dei ragazzi simili sfide, anche in ambiti più realistici e meglio legati ad eventi del passato in grado di stimolare la loro immedesimazione in trascorsi storici, magari proprio sullo stesso terreno su cui camminiamo? E qui viene un primo stimolo alla comprensione di ambiente.
Facendo un esempio un po’ azzardato nel paragonare la medicina allopatica, quella che ci viene somministrata normalmente con la ricetta dal medico di famiglia, con quella omeopatica, che per molti ha un’insostenibilmente bassa scientificità, tenderei a dire che il contenuto di sintesi, proprio di quella allopatica, è riconducibile ad esempio allo sport in palestra, alla tecnica alpinistica imparata, ed addirittura talvolta esercitata su pareti attrezzate con artifici tecnici di alto livello, ma magari … in pianura. La medicina omeopatica è invece un po’ più simile all’ambiente, nella sua globalità, nella difficoltà ad irreggimentarlo in regole o canoni razionali, nella sua dimensione di “sistema”, proprio per la priorità che l’omeopatia dà alla visione dell’uomo nel suo insieme, degli aspetti di prevenzione piuttosto che di cura. Un po’ come nel caso dell’ambiente, può capitare che uno stia perseguendo un obiettivo personale e ben definito e si trovi a scoprire degli elementi che lo portano in tutt’altra direzione, magari più stimolante e più fruttuosa ai fini delle intenzioni che lo avevano condotto proprio lì. 
In quest’ultimo caso vedo un parallelismo palese con l’informatica e la strutturazione del comportamento umano, dei ragazzi e dei giovani in particolare per la loro maggiore consuetudine ad utilizzarla, da essa derivabile, rispetto ad altre discipline più logiche e, direi, più consequenziali, come ad esempio la matematica o la fisica. L’informatica è “inferenziale” piuttosto che “sequenziale”, nel senso che si può partire da una pista di ricerca o di esecuzione e si può facilmente capitare in un altro “dominio” che fa scoprire attinenze ed implicazioni che non erano state prese precedentemente in considerazione e che possono condurre a percorsi nuovi e completamente imprevisti. Sottolineo questo fatto per ricordare che uno dei talenti maggiormente utili e ricercati in periodi di incertezze e variabilità, come il presente, è proprio la flessibilità e la capacità di cogliere opportunità meno scontate rispetto al passato. Come considero quindi proprio l’informatica, se esercitata con gusto e coscientemente, una buona carta per lo sviluppo dei propri talenti ed una buona predisposizione per il lavoro e l’inserimento attivo nella comunità sociale, reputo che le stesse caratteristiche si possano derivare da una conoscenza e dall'esercizio delle componenti ambientali che ci circondano e che troppo spesso ci trovano impreparati ad utilizzarle.
Il ruolo dell’educatore in questo caso deve essere quello di facilitatore nell'apprendimento di quelle sfaccettature della realtà che costituiscono l’ambiente, nell'incoraggiare i ragazzi, ma anche i suoi coetanei, ad esporsi con entusiasmo a quanto li circonda, dimostrando a sua volta entusiasmo e gusto dell’avventura che questo viaggio di scoperta comporta, valorizzando i risultati che volta per volta vengono raccolti. Proprio questa valorizzazione è importante, tanto più quando non ci sia una consapevolezza delle proprie risorse per intraprendere questo cammino né una capacità di lettura dei vantaggi raccolti, sul piano fisico, culturale, ma anche emotivo e relazionale. Lo scoutismo ha fatto molta strada nel valorizzare la natura come ambiente educativo, sono stati pubblicati diversi libri ed articoli su questi temi, uno tra tutti il pregevole “Dalla natura all’ambiente” di Franco La Ferla[1], ma non è mai  sufficiente né impensabile contentarsi dei risultati ottenuti, anche perché guardandosi intorno si trova purtroppo ancora tanta ignoranza in un campo tanto significativo e specifico per lo scoutismo.
Ben vengano allora stimoli ai ragazzi, occasioni di approfondimento e dibattito per i capi, confronti con altre agenzie educative dove, guarda caso, la presenza di ex-scout è sempre più scontata … Ciò da una parte vuol dire che per essi le esperienze passate non sono stata acqua sotto i ponti, ed anche se gli impegni lavorativi o famigliari li ha spinti a lasciare il servizio attivo, questo non ha voluto dire non avere più voglia di impegnarsi, e divertirsi, vivendo in una dimensione ambientale e relazionale da far conoscere anche agli altri.
         Ancora una volta però, confronto non significa demandare ad altri in toto la propria responsabilità educativa, altrimenti ci si ridurrà presto a fare le uscite scout nei “parchi avventura” o effettuare i campi di servizio mandando i nostri rover in quelli delle tante organizzazioni che li svolgono, magari bene, ma con altri obiettivi. L’ambiente è una delle nostre specificità, occorre valorizzarlo al meglio ed usarlo, come in tutti gli altri casi della nostra proposta educativa, come mezzo e non come fine.
                                                                                                                                                      
                                                                                                                                                                                       
                                                                                                                                             Sergio Cametti



[1] La Ferla F., Dalla natura all’ambiente, ed. Nuova Fiordaliso., Roma, 1992, pagg. 320, € 12,91

domenica 19 maggio 2013

PENTECOSTE

Lo Spirito Santo ci ci dia coraggio, saggezza, sapienza, 

perseveranza per percorrere sentieri di pace e di giustizia e 

costruire un mondo migliore ove regnino Bontà, Bellezza e 

Verità..

sabato 18 maggio 2013

LA MALDICENZA, UNA MALA BESTIA


Ancora una volta, Papa Francesco, nella Messa di oggi a Santa Marta, dà voce ad uno dei problemi che distrugge l’armonia della comunità cristiana e che mostra chiaramente la limitatezza dell’essere umano: la chiacchiera, il “mischiarsi nella vita degli altri”, fino a “spellare” il prossimo.
Il Santo Padre “non se ne tiene una” – si direbbe popolarmente – e l’uditorio sembra apprezzare i quotidiani e vigorosi richiami del Pontefice.
Come nell’omelia di ieri, Papa Francesco prende spunto per la sua riflessione da un dialogo tra Gesù e Pietro. In particolare, il Papa si è soffermato sulla domanda “A te che importa?”, che Cristo rivolge all’apostolo che si era immischiato nella vita del discepolo Giovanni. Il Pontefice ha ribadito che tra il Signore e Pietro c’è sempre “un dialogo d’amore”; ma, in quest’occasione, il colloquio “è deviato su un altro binario”, a causa della tentazione del discepolo di fare il “ficcanaso”.
Un atteggiamento, questo, che rispecchia una cattiva e, purtroppo, frequente abitudine di tutti noi cristiani. Ci sono due modalità di mischiarsi nella vita altrui, ha poi spiegato Papa Bergoglio. Innanzitutto il “compararsi con gli altri”, che sfocia “nell’amarezza e anche nell’invidia”, e che a sua volta “arrugginisce la comunità cristiana”, le “fa tanto male”, dando soddisfazione al diavolo che “vuole proprio quello”. E poi le chiacchiere, che partono da “modalità tanto educate” e finiscono con lo “spellare il prossimo”.
“Quanto chiacchieriamo noi cristiani!” ha esclamato Papa Francesco, “la chiacchiera è proprio spellarsi eh? Farsi male l'uno l’altro. Come se volesse diminuire l’altro, no? Invece di crescere io, faccio che l’altro sia più basso e mi sento grande. Quello non va!”.
Il guaio, ha proseguito il Papa, è che “sembra bello chiacchierare”. “Non so perché – ha detto - ma sembra bello. Come le caramelle al miele, no? Tu ne prendi una: “ah, che bello!”, e poi un’altra, un’altra, e alla fine ti viene il mal di pancia”. Come la chiacchiera, insomma, che “è dolce all’inizio e poi ti rovina l’anima!”.
“Le chiacchiere sono distruttive nella Chiesa” ha ribadito il Santo Padre, sono distruttive come “lo spirito di Caino”; con esse si rischia di “ammazzare il fratello, con la lingua!”. Non solo: di questo passo – ha soggiunto il Pontefice - “diventiamo cristiani di buone maniere e cattive abitudini!”.
Quasi a voler estirpare questo male della Chiesa, Papa Francesco va alla radice e spiega in che modo si presenta la chiacchiera. Normalmente, segue uno schema a tre punti, ha detto: innanzitutto, “facciamo la disinformazione”, ovvero “dire soltanto la metà che ci conviene e non l’altra metà, perché non è conveniente per noi”. Poi la diffamazione: “Quando una persona davvero ha un difetto, ne ha fatta una grossa, raccontarla, 'fare il giornalista', e la fama di questa persona è rovinata!”. La terza – ha affermato Bergoglio - “è la calunnia: dire cose che non sono vere. Quello è proprio ammazzare il fratello!”.
Disinformazione, diffamazione e calunnia sono, dunque, le tre armi per uccidere il prossimo. “Sono peccato! Questo è peccato!” ha ribadito il Papa, “è dare uno schiaffo a Gesù nella persona dei suoi figli, dei suoi fratelli”.
La domanda di Gesù a Pietro diventa pertanto un monito per tutti noi: “A te che importa? Tu segui me!”. Il Signore così ci “segnala la strada”, ha osservato il Santo Padre: “È bella questa parola di Gesù, è tanto chiara, è tanto amorosa per noi. Come se dicesse: ‘Non fate fantasie, credendo che la salvezza è nella comparazione con gli altri o nelle chiacchiere. La salvezza è andare dietro di me’”.
“Seguire Gesù!” quindi: è questa la grazia da chiedere oggi al Signore, secondo il Pontefice, la grazia “di non immischiarci mai nella vita degli altri, di non diventare cristiani di buone maniere e cattive abitudini, di seguire Gesù, di andare dietro Gesù, sulla sua strada. E questo basta!”.
                                                                                            Papa Francesco, 19 maggio 2013
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