PIÙ CREATIVITÀ IN CHI VIVE A CONTATTO CON LA NATURA
Una bella escursione all’aria aperta favorisce lo sviluppo della
creatività, aiuta a pensare con chiarezza e ad avere idee originali.
di GIUSEPPE O. LONGO
David
Strayer, psicologo cognitivo dell’Università dello Utah, ha studiato a lungo
gli effetti delle fonti di distrazione sulle prestazioni umane, in particolare
quanto influisce sulla qualità della guida parlare al cellulare o mandare
messaggini (molto: la frequenza degli incidenti aumenta di un fattore
quattro!). E anche se c’è una piccola percentuale di persone capaci di far bene
più cose allo stesso tempo, la maggioranza fa bene a concentrarsi su una sola
cosa. Di recente Strayer ha intrapreso uno studio sui rapporti tra le capacità
creative delle persone e l’ambiente in cui si trovano. L’esito, in soldoni, è
che per pensare con chiarezza e avere idee originali bisogna abbandonare
cellulari, computer, iPad e simili e fare una bella escursione all’aria aperta.
Le prestazioni cognitive del gruppo sperimentale sono migliorate di quasi il 50
per cento dopo quattro giorni di gita zaino in spalla in un canyon della
regione. I particolari dell’esperimento si possono trovare sulla rivista in
linea Plos (Public Library of Science) One, ma è più interessante conoscere il
parere di Strayer (nome che tra l’altro rimanda al verbo «to stray», vagare),
secondo cui il miglioramento cospicuo e misurabile delle prestazioni cognitive
è stato causato da tre fattori: il contatto prolungato con la natura,
l’esercizio fisico spinto e l’abbandono dei dispositivi elettronici.
Che
l’uso della tecnologia abbia un effetto importante sulle connessioni cerebrali
è ormai confermato da diverse ricerche e può darsi benissimo che la delega da
noi compiuta a favore di queste apparecchiature contribuisca a un
depotenziamento delle nostre capacità mnemoniche e cognitive endocraniche. Del
resto che le estroflessioni cognitive alimentino un certo grado di pigrizia
mentale è un fatto incontrovertibile. Forse è questa la strada per capire
perché l’abitudine che hanno molti di isolarsi per molte ore al giorno davanti
allo schermo di un computer, che diventa così la loro interfaccia con il mondo
e con le altre persone, abbia effetti negativi e perché questi effetti possano
essere contrastati grazie a un’immersione nella natura, come del resto
sostengono da secoli scrittori e poeti (è singolare come dalla ricerca ci si
aspetti oggi la conferma anche dei fatti più ovvi, come il riscaldamento di un
tegame d’acqua posto sul fuoco...). La specie umana si è evoluta per centinaia
di migliaia di anni in un ambiente 'naturale' (nel senso più elementare della
parola), a stretto contatto con montagne, animali, acque e boschi, e con i
consimili. Negli
ultimi decenni per noi occidentali l’ambiente è mutato radicalmente ed è ormai
soprassaturo di una tecnologia che impegna allo spasimo le nostre capacità di
gestione delle sollecitazioni esterne. I bambini di oggi passano non più di una
ventina di minuti al giorno a giocare all’aperto, mentre giovani e adulti
passano sempre meno tempo in attività ricreative in seno alla natura. Ma l’ambiente tecnico è troppo giovane e noi
siamo ancora parte di quello naturale, che esercita su di noi un atavico
richiamo immersivo e sistemico e in cui ci sentiamo a casa. Quanto tempo debba
passare perché ci sentiamo a casa nell’ambiente artificiale che ci stiamo
costruendo intorno non è dato sapere, certo è che oggi la tecnologia corre più
di quanto l’uomo riesca a seguirla.
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