L’Università
della California ha effettuato una ricerca sulle “emozioni gratuite”. E’
risultato che, in poco tempo, in coloro che avevano coltivato coscientemente l’esercizio della gratitudine,
si verificava un sensibile miglioramento della qualità della vita. Cresceva l’ottimismo e la voglia di
sorridere, miglioravano le relazioni umane, ma anche il benessere fisico e lo
stesso sonno. Secondo il direttore della ricerca, in caso d’insonnia è
preferibile contare i gesti di gratitudine donati piuttosto che le pecore! La
stessa ricerca ha messo in evidenza che le persone che erano state aiutate
gratuitamente avevano maggiore attitudine ad aiutare spontaneamente gli altri.
Coloro che avevano praticato quotidianamente azioni di gratitudine, mostravano
livelli superiori di prontezza,
entusiasmo, determinazione, attenzione ed energia rispetto al
gruppo che si era concentrato sui problemi o su come stare meglio rispetto agli
altri [1].
La
gratitudine è strettamente legata alla gratuità. Non è un dovere, ma un
piacere. Le persone che hanno in comune l’arte della gratitudine sono
accomunate dagli atti di gentilezza gratuita. Perciò la gratitudine è un’arte
da apprendere e da fare apprendere fin dal primo vagito, nonché da coltivare per
tutta la vita. Essa è uno stile di vita che si esprime nella cortesia, nella
gentilezza, nel saper fare dono e nel sapersi fare dono. E’ una finestra aperta
ai raggi del sole, un canto di “grazie” che manifesta gioia per la vita e nel
contempo gioia per l’incontro con l’altro.
La capacità di esprimere riconoscenza onora le persone e le istituzioni.
Naturalmente,
per coltivare l’arte dell’essere grati bisogna saper riconoscere i semi di
gratitudine prenderne cura; per manifestare gratitudine occorre saper leggere i
segni di gratitudine che s’incontrano lungo il cammino, superando ogni forma di
autoreferenza, di arroganza e di egoismo. Una casa con le finestre chiuse, ove
regnano muffa e ragnatele, mai potrà cantare la sua gratitudine ai raggi del
sole e all’aria pulita che ridona vita agli ambienti. In un terreno incolto
difficilmente attecchiscono le piantine di gratitudine.
La
gratitudine è una virtù civica che è stata sempre riconosciuta universalmente.
Ad essa le religioni danno particolare rilevanza. Ogni fede, infatti, si radica
nel senso di gratitudine che l’uomo deve avere nei riguardi del creatore ma
anche delle creature.
Ad
esempio, ogni cristiano è chiamato anzitutto ad amare Dio e il prossimo ed a
“rendere grazie”. Così San Paolo esorta i primi cristiani: “Fratelli, siate
sempre lieti, in ogni cosa rendete grazie. Questa è infatti la volontà di Dio”[2].
La preghiera è prima di tutto espressione di lode e di gratitudine. Il
Magnificat[3] di
Maria e il Benedictus[4] di
Zaccaria sono splendidi canti di ringraziamento. Lo stesso Gesù più volte
esprime il suo grazie al Padre [5].
Per
il mussulmano uno dei principali aspetti della fede è sentire gratitudine verso
Dio. L’essere grati è talmente
importante che chiunque nega la verità è denominato kafir (ingrato). Un credente ama, ed è riconoscente a Dio per
la Sua generosità e per tutti i doni che gli sono stati dati.
Il
Buddismo insegna che tutti gli uomini sono strettamente legati tra loro e che
nessuno può vivere isolato; perciò, dobbiamo essere immensamente riconoscenti
agli altri. Ogni buddista è tenuto a ripagare i “quattro debiti di gratitudine”
che così possiamo sintetizzare: gratitudine verso gli esseri viventi, verso i
genitori, verso la legge, verso i maestri. Dedicarsi agli altri, si afferma, è
il modo migliore per ripagare il debito di gratitudine al Buddha.
Per gli scouts l'essere grati è un impegno da onorare nelle vita di ogni giorno. Uno specifico
articolo della legge scout afferma che “lo scout è cortese”, Baden-Powell invita
ogni scout a saper “guardare indietro
con gratitudine per ciò che e' stato compiuto” [6] e
ad essere sempre grati verso Dio e verso
coloro che ci fanno del bene: “Un vero scout non trascurerà mai di ringraziare
per ogni gentilezza che riceve”[7]
“La
gratitudine è espressione di cortesia e gentilezza. E’ un modo di agire che
nasce dal cuore (la cordialità) e si manifesta ed irradia nella gioiosità di un
buon carattere. Da qui ha origine lo spirito di gruppo, la tolleranza e la
capacità di accogliere gli altri, manifestando loro la propria considerazione e
rispettandone le convinzioni” [8].
Chi sa dire grazie, con sincerità, onora anche se stesso ed esprime la sua
“signorilità”!
L’ingratitudine,
anche se spesso si manifesta nel comune agire, è innaturale poiché è manifestazione
di egoismo, di incapacità di riconoscere l’altro, di considerare l’agire come
dono gratuito. L’altruista non può essere ingrato! “L’homo sapiens nasce
cooperativo, lo dimostra il fatto che i bambini sono altruisti di natura”[9].
La generosità, l’altruismo, la riconoscenza sono fattori essenziali per una
vita buona e felice. La persona grata, infatti, sa essere, sa rapportarsi agli
altri, sa abitare il mondo secondo uno stile amicale e solidale [10].
E’ pur vero che nella vita quotidiana s’incontrano tante resistenze che
ostacolano il “grazie di cuore”. Mi riferisco al grazie “a denti stretti” che
manifesta il sentirsi costretti o la malevolenza; al grazie ostentato che
esprime servilismo o un modo di accalappiare l’altro; al grazie epidermico da scrollarsi
di dosso il prima possibile ….. E’ pur vero che talora la gratitudine può
essere premessa al raffreddamento o alla rottura di relazioni o può favorire la
meschina ricerca di motivazioni al fine di metter da parte la “necessità” di
esser grati all’altro. Talvolta si può arrivare finanche a calunniare la
persona verso la quale si dovrebbe essere grati al fine di dare una motivazione
“logica” all’incapacità di esprimere riconoscenza. Questa, però, è miseria
umana! … E’ pur vero che per taluni è “tutto dovuto”; altri hanno la
convinzione che ogni azione buona dell’altro sia necessariamente un atto non
disinteressato … E’ pur vero che talora il dir grazie è relegato alle pratiche
di buona educazione dell’età infantile. Queste maniera di “dir grazie” , però,
sono tutte deviazioni che ricacciano l’uomo nel ginepraio o nelle paludi
dell’egoismo, disonorandolo.
Si
ha, perciò, la necessità di curare – sin da piccoli – in famiglia, nella
scuola, nei vari ambiti sociali il germoglio dei “fiori di gratitudine”,
estirpando per tempo la gramigna dell’indifferenza, dell’arroganza,
dell’ingratitudine, della cafonaggine e togliendo le pietre della durezza di
cuore.
Siamo
tutti chiamati a favorire (in noi stessi e negli altri) la maturazione della
sensibilità al bene e al bello, lo sviluppo dello stupore, l’esercizio della
gentilezza e della gratuità, lo spirito di servizio, la costruzione dell’uomo
empatico, un positivo atteggiamento di fronte alla vita, lo sforzo silenzioso
ma sempre più intenso verso ciò che è bene, l’aspirazione alla bellezza, la
capacità di riconoscere ed apprezzare il bene fatto dagli altri, il piacere di impreziosire
il proprio cammino con tanti “grazie”.
Dobbiamo
sentirci parte di una comunità in cui ciascuno si sa far dono per l’altro e per
gli altri.
La cortesia, la generosità, la riconoscenza, la costante attenzione all'altro e al bene comune, il saper sorridere agli altri sono petali di quel meraviglioso
fiore che, con i suoi colori e il suo profumo, è lieto di esprimere un
gioioso e sincero grazie ad ogni nuovo giorno che viene.
Giovanni
Perrone
[1] Robert
Emmons, Thanks!: How Practicing Gratitude Can Make You Happier, Houghton Mifflin Company, New York, 2007
[2] 1 Ts, 5 6-18
[3] Lc, 1 39-56
[4] Lc, 1 68-79
[5] Mt, 11 25-30
[6]
Baden-Powell, Headquarters Gazete, November 1920
[7]
Baden-Powell, Scautismo
per ragazzi, ed. Nuova Fiordaliso, 199, pag. 293
[8]
Frattini, Bertinelli, Legge scout, legge di libertà, ed. Nuova Fiordaliso, Roma, 2002
[9] M. Tomasello, in Antonio Galdo, L’egoismo è finito, ed. Einaudi, Torino, 2012, pag. 9
[10] Antonio Bellingreri, Per una pedagogia dell’empatia, ed. Vita e Pensiero, Milano, 2005
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