"TUTTI SI STUPIRONO DELLE COSE CHE DICEVANO I PASTORI " (Lc. 2,18)
In quasi tutti i laboratori concettuali emerge prepotente la
tendenza a recuperare qualcosa del nostro passato, a ridare proponibilità a tutto
ciò che ieri era stato messo ai margini dall'inesorabile legge della
convenienza economica. Si recuperano così prodotti tipici, si organizzano le
sagre più varie e, purtroppo impiegando quasi sempre pubblico denaro, si
finanziano campagne altisonanti riuscendo a coprire di tipicità prodotti che di
peculiare hanno valenze molto modeste.
Da questa grande operazione di recupero resta fuori ciò che non entra
nelle varie griglie che, in ultima analisi, vanno a definire la ricchezza di un
Paese: resta fuori l’uomo, con la sua spiritualità, con la sua necessità di
sognare, con il suo ineludibile bisogno di tenerezza e di amore, bisogno umano
che, molto spesso, non viene messo al giusto posto nemmeno all’interno di
importanti momenti aggregativi quali le feste familiari, le ricorrenze
religiose, le giornate celebrative dedicate alla donna, al papà, ai nonni.
Inoltre, l’attrezzata strategia commerciale invade tutti questi
contesti, rompendo gli argini della giusta misura.
Lo stupore, questa incalcolabile risorsa spirituale, questa
fresca sorgente di intima gioia, questo crogiolo di puri sentimenti, rientra
invece tra quel materiale di scarto che Papa Francesco ci invita a recuperare.
Lo stupore dei bambini e dei vecchi, dei poveri e dei ricchi, dei semplici e
dei sapienti, lo stupore di ogni cuore non indurito irreversibilmente ha
difficoltà a trovare idonea collocazione e libera espressione.
Stupore e Natale: un binomio da recuperare, antidoto da mettere
urgentemente in circolo, oggi più che mai! Lo stesso stupore che Francesco d’Assisi
riuscì a vivere nella sua interezza proponendo la realizzazione del primo
presepe vivente della storia. Oggi, maldestramente, ci si affatica ad associare
presepi viventi e percorsi alimentari più o meno tipici, dove il profumo della
mangiatoia risulta miseramente sconfitto da fragranze molto più profane.
Lo stupore è momento esistenziale di smarrimento, di
sbigottimento, di percezione di qualcosa dinanzi alla quale la ragione rimane
dolcemente disorientata; è momento di ascolto, momento che può azzerare tante
certezze e mettere in discussione la supposta bontà di scelte che sembravano
inattaccabili criticamente.
Dinanzi alla ricchezza del Vangelo, confrontandoci con le “parole
di vita eterna” che da esso stupendamente scaturiscono, non possiamo non essere
vinti dallo stupore e dal conseguente desiderio di soffermarci in
contemplazione. Lo stupore dei pastori raggiunti da una notizia sconvolgente,
lo stupore delle donne dinanzi al sepolcro vuoto, lo stupore di Tommaso dinanzi
a Gesù Risorto, lo stupore dei ricercatori scientifici quando riescono a
conquistare una “porziuncola di eternità”, lo stupore dei genitori dei nonni
degli appassionati insegnanti quando sono testimoni felici di novità mai
catalogate.
Questo stesso stupore il Papa e la Chiesa tutta propongono a
tutti i lontani, ai non credenti, a quanti vivono nell’incerto crinale del
dubbio. Per questi lo stupore diventerà vuoto da riempire, pausa esistenziale
che attende una possibile sollecitazione al suo superamento, momento di smarrimento
di convinzioni incerte alla ricerca di approdi logici.
Il Natale, oggi seppellito sotto una valanga irrazionale di
regali, è senz’altro da recuperare, è da rivitalizzare dando ampio spazio allo
stupore, alla contemplazione, alla riflessione, al silenzio interiore: abbiamo
tutti bisogno di soffermarci per capire, per scegliere, per ponderare ogni
nostra scelta. Al centro del Natale c’è un Dio che si fa uomo, un Dio che ci
raggiunge per camminare accanto a noi, per condividere la nostra umanità, per
insegnarci come costruire un futuro migliore.
Nicola Sajeva
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