Durante il convegno organizzato da Cism e
Usmi 'Con papa Francesco verso le periferie della storia', Giuseppe De Rita,
presidente del Censis, ha tracciato un profilo della società odierna
(Zenit.org) - “Siamo
di fronte ad una complessiva caduta delle aspettative, più drammatica delle
sacche di povertà, che sono controllabili”. Lo spiega nel suo intervento
“Speranza e prospettive oltre la crisi” al convegno promosso da CISM e USMI, Con papa Francesco verso le periferie della storia, il dott. Giuseppe De
Rita, presidente del Censis. “Una società che non ha aspettative si
siede, rinuncia a sperare ed è più pericolosa di un gruppo di famiglie che non
arriva a fine mese. Milioni di persone non si muovono. Mettono da parte i
soldi, spesso anche contanti". Analogo il comportamento delle imprese, che
“restano liquide e non fanno investimenti”. “L’ imprenditore italiano è
invecchiato - ha aggiunto De Rita -. Ha sessant'anni di media ma soprattutto
non ha mercato. Solo un terzo esporta, lavora e vive all'estero, andando
incontro ad un mercato che cresce”.
Da qui emerge il profilo di una società statica - “più preoccupante di una
depressione” - che chiama la deflazione: dei figli, degli acquisti… Una
mancanza di aspettative che determina una società con tutti i vizi
”perché antropologicamente difficile, piena di narcisismi, egoismi, cinismo,
che comunica a se stessa con selfie, twitter, facebook”.
Il rapporto con l'altro deve tener presente questa situazione per innescare
crescita e dialogo comune. Una società del genere nasce perché mancano desideri
e per eccesso di benessere: “non si desiderano case, vestiti, figli, è
diminuito anche il desiderio sessuale. Tutto ciò ha origine da un cambiamento
antropologico – sottolinea ancora De Rita - comunichiamo il nulla, tra
esaltazione dell’evento - che rende impossibile comprendere la società o
qualcosa di se stessi - ed egocentrismo di chi lo vive, massificante, evirante,
che brucia desideri, speranze , aspettative e genera disagio”.
In sintesi, “ siamo affidati economicamente al mercato e socialmente a noi
stessi. Ma - ricorda - mercato e meccanismo individuale generano
diseguaglianze frutto del capitalismo maturo che producono rabbia e tensioni
sociali. Non è la povertà di indigenza che ci aspetta ma l'aumento delle
tensioni”.
E la speranza? “Dal punto di vista sociologico va usata il meno
possibile perché non ha una consistenza reale. Il rapporto tra desiderio e
speranza è interconnesso. Speranza è orizzonte, progressione verso, cultura di
sviluppo, qualcosa di sovrannaturale, viene dal profondo. È necessario - conclude
- riportare la società all'antica sobrietà e dirlo non al singolo ma alla
comunità”.
Tratto da Zenit – www.zenit.org
Nessun commento:
Posta un commento