40 anni alla
Massariotta e 30 di Campo Explò
Daniele Campolo *
40
anni … tempo di memoria e di ricordi: sembra solo ieri che, in perfetta
uniforme, con uno zaino pesantissimo (per paura di dimenticare le cose
essenziali) e le prime scarpe da trekking, acquistate per l’occasione, salutavo i miei genitori dalla nave, che mi
avrebbe portato al di là dello Stretto!
Che
magnifica avventura!!! A partire dal viaggio in treno, con i tempi estenuanti
della linea ferroviaria ad unico binario, il caldo, gli odori dell’estate ormai
alla fine, i pensieri e le preoccupazioni dell’anno scolastico che di lì a poco
sarebbe ricominciato. L’arrivo in pullman a Ficuzza con l’imponenza del palazzo
reale e quei due enormi cipressi
dell’Arizona sul lato sinistro del prato di fronte alla Real Casina di Caccia
che garantivano un po’ d’ombra e di frescura a tanti ragazzi che, provenienti
da tutte le parti d’Italia, si incontravano.
Mentre
attendevamo l’inizio del campo, oltre a iniziare a scambiare le prime battute
con gli altri esploratori, ricordo una presenza “inquietante”, un giornalista
che armato di macchina fotografica non faceva altro che farci domande: era
incuriosito dalla nostra uniforme, dalle nostre attrezzature, dalla nostra
provenienza, ma ad ogni nostra risposta, non contento, non faceva altro che stimolarci
con nuovi “perché?” e alla fine la fatidica domanda “ma perché fate gli scout?
Cosa ci trovate? Non era meglio starvene a casa vostra al mare?”. Quanto mi ha
messo in crisi quella domanda!? Ancora al pensiero … mi vengono dei piccoli
brividi lungo la schiena. Non ho fatto altro che pensarci per tutto il campo, e
… anche dopo, una volta tornato a casa, e anche … ora, dopo tanti anni di
scoutismo.
Fiiiiiii
… un fischio! Inizia il campo! Divisi in squadriglie iniziamo ad addentrarci
nel bosco della Ficuzza, sulla vecchia via del treno, e quale emozione quando,
di sera, arriviamo stanchi ed affamati al Pulpito del Re, interamente
illuminato con candele e padelle romane e ad attenderci addirittura … Re
Ferdinando IV di Borbone!
Quante
sensazioni e quante esperienze vissute tutte in pochissimi giorni: l’azimut su Rocca
di Corvo, dormire in rifugi costruiti con materiali di fortuna, lavarci con i
bidoni, perderci nei sentieri con carta e bussola che ancora non sapevamo usare
bene, mangiare al buio, addormentarci con il ticchettio notturno dei picchi, e
poi … finalmente la base!
Anche
questo momento rimarrà per sempre impresso nella mia memoria: raggiungere la
base da Piano Rineddi nel bosco del Cappelliere, vederla comparire a poco a
poco dall’alto, con i tetti delle strutture ben mimetizzati e vederla animata
ed in piena attività (in contemporanea al nostro campo ce ne era un altro fisso
alla base), entrare con orgoglio perché noi eravamo “gli esploratori” che
avevano sperimentato i ritmi della natura ed avevano vissuto incredibili
avventure nel Bosco, ricevere l’affettuoso saluto del Responsabile della base.
Un’esperienza
indimenticabile insomma che ha segnato la mia vita non tanto per l’esperienze
vissute (comuni a quelle di molti altri) ma per le scelte che da quel campo ho
imparato a fare: la scelta di diventare capo nell’associazione prima, e capo del
settore specializzazioni poi.
E
anche qui le esperienze vissute da educatore si accavallano l’una sull’altra,
confondendosi e mescolandosi, come tanti frammenti di un puzzle: la salita su
Rocca Busambra con degli allievi che ci hanno fatto mangiare i gomiti fino all’ultimo
giorno; la messa itinerante con il rito bizantino ed il fantastico Papa Kola
che non faceva altro che prendersela con le multinazionali; le escursioni con
gli esperti della Lipu; i bagni negli abbeveratoi per le mucche; le fieste
finali con dardi infuocati che non andavano mai dove dovevano andare; i
tantissimi esploratori/guide che ancora ci incontrano e si ricordano di noi; i
rover sempre pronti a servire e mai stanchi di rendere il campo perfetto fino
all’ultimo minuto; i capi, compagni di avventure, diventati amici per la pelle
anche se ci si vede solo qualche giorno l’anno.
Per
non parlare poi delle relazioni vissute, che anche se non ricordi i volti o i
nomi di tutti gli esploratori, ti lasciano dentro la gioia di aver condiviso
parte della tua vita con gli altri, di non aver sprecato il tuo tempo, di aver
scoperto persone nuove e donato loro qualcosa di te anche la più banale o la
meno significativa …
Certo
ora qualche risposta in più ce l’ho, per quell’inquietante giornalista, che
altri non era (a questo punto ve lo posso svelare …) che il capo campo che
cercava di instaurare con noi delle relazioni “fuori dagli schemi scout” proprio
perché dietro il progetto di campo non c’era solo l’obiettivo di farci
acquisire delle semplici conoscenze tecniche, ma quello di possedere delle
competenze che oltre a farci “orientare nel bosco” ci dessero la capacità di
“orientarci nella vita”.
Febbraio 2013
*Incaricato regionale
EG Calabria
Nessun commento:
Posta un commento