La cannabis in circolazione ha un
principio attivo sempre più potente. Una bassa disapprovazione sociale, è
dimostrato, porta ad un aumento del consumo. E aprire il mercato non toglie
nulla alle organizzazioni criminali.
L’insostenibile
leggerezza
di Giovanni Serpelloni*
Prima di entrare nel dibattito sulla
legalizzazione delle droghe leggere è necessario che chiunque voglia affrontare
questo tema sviluppi alcuni punti di consapevolezza, partendo dalle evidenze
scientifiche, per poter comprendere esattamente i rischi e le conseguenze di
questa scelta. Gli studi più
accreditati hanno dimostrato da anni che la cannabis è una sostanza psicoattiva
neurotossica e pericolosa per la salute mentale e fisica propria e altrui.
I danni maggiori sono quelli derivanti
dall’uso precoce (adolescenziale) di questa sostanza nel momento in cui il
cervello si trova nella delicata fase di sviluppo celebrale che termina dopo i
21 anni. Studi scientifici hanno mostrato conseguenze tanto più gravi sulle
capacità cognitive (attenzione, memorizzazione e apprendimento, quoziente
intellettivo, gratificazione, capacità decisionale e stima del pericolo) quanto
più precoce è l’inizio dell’uso e quanto è più frequente e duraturo. Uno studio
in particolare ha dimostrato che chi fa uso di cannabis prima dei 18 anni può
avere una perdita di Q.I. (quoziente intellettivo) con un declino
neuropsicologico anche di 8 punti dopo 20 anni.
Ma quando si parla genericamente di
cannabis o erroneamente di droghe 'leggere' non si tiene conto di che cosa si
trova sul mercato oggi e della domanda (e quindi dell’offerta delle
organizzazioni criminali) che esiste. Da qualche anno infatti viene proposta un
tipo di cannabis sempre più potente e con effetto fortemente alterante. Di
norma nella cannabis si trova dal 5 al 7% di principio attivo ( Thc), ma oggi
ci sono piante appositamente modificate e coltivate con tecniche violente di
coltura intensiva che arrivano anche al 55% di principio attivo, con perdita
inoltre di altri principi attivi proteggenti (Cbd). La gravità dei danni
infatti risente anche della maggiore concentrazione di principio attivo
presente nei prodotti oltre all’uso contemporaneo di altre droghe sinergizzanti
e di alcol che oggi rappresenta purtroppo la norma. Il problema legato al fumo
di cannabis è diventato ormai una questione di sanità pubblica da non
sottovalutare, che ha portato a registrare, oltre all’aumento delle patologie
psichiatriche droga correlate (quali la schizofrenia), anche i ricoveri in condizioni
di emergenza presso i pronto soccorso (fonte dati Sdo del Ministero della
Salute).
Il
16% dei ricoveri per intossicazioni acute da droghe nella popolazione generale
è dovuto alla cannabis, un dato che sale al 44,2% se esaminato nella fascia dei
minorenni. In Europa (fonte Emcdda) tale percentuale nella popolazione generale
è del 22%. Quindi, quanto è 'leggera' una droga che produce una quantità così
elevata di ricoveri ospedalieri in condizioni di emergenza? Un’altra importante
consapevolezza da avere prima di scegliere la strategia giusta è quella che
legalizzare e quindi far aumentare l’accessibilità a una sostanza psicoattiva
fa sempre aumentare il suo consumo e il numero di persone che la usano.
Aumenteranno quindi anche i ricoveri,
gli incidenti stradali droga correlati, gli incidenti professionali, le
violenze, le persone con patologie psichiatriche ma anche quelle
(particolarmente vulnerabili) che svilupperanno percorsi evolutivi (come
dimostrato da studi di neuroscienze anche su modelli animali) verso l’uso di
cocaina o eroina.
Studi condotti in California dal Nida
(National Institute on Drug Abuse) durante il dibattito sulla legalizzazione
hanno dimostrato che per il solo discutere di queste cose la percezione del
rischio derivante dall’uso di cannabis negli adolescenti diminuiva e quindi
aumentava l’uso della droga. Infatti la percezione negli adolescenti che l’uso
di tali sostanze sia socialmente tollerato ne fa aumentare la probabilità
l’uso. Un altro studio durato ben 30 anni su circa un milione di giovani
studenti negli Stati Uniti ha dimostrato molto chiaramente che se la
'disapprovazione sociale' (mantenuta anche attraverso leggi non permissive) e
quindi anche la percezione del rischio verso la cannabis era alta (90%) l’uso
della droga nei teenager era del 17%, mentre quando la disapprovazione
scendeva al 47% l’uso saliva al 49%. Inoltre non esiste alcuno studio né
evidenza scientifica che dimostri che la legalizzazione sia in grado di ridurre
efficacemente gli introiti delle organizzazioni criminali, ed è illusorio
pensare che legalizzare la sola cannabis possa avere impatto sugli introiti
delle mafie che vivono soprattutto della vendita di eroina, cocaina,
metamfetamine e adesso anche di altre 300 nuove droghe sintetiche vendute su
Internet. Tali organizzazioni criminali quindi trafficano e commerciano in vari
tipi di droghe, e legalizzando uno solo di questi prodotti – quale ad esempio
la cannabis – non si produrrebbero danni commerciali tali da mettere le
organizzazioni in crisi, come dimostrato da studi statunitensi in merito,
producendo viceversa nuovi costi sanitari e sociali.
Dovremmo quindi legalizzare anche tutte
le altre sostanze? Come verrebbe poi regolamentato il fatto che persone guidino
una macchina, un autobus, un treno o lavorino sotto l’uso di sostanze
stupefacenti psicoattive ma perfettamente legali, non potendole quindi
sanzionare? E chi pagherebbe i costi sanitari aggiuntivi derivanti da questo
aumento dell’uso? La sanità pubblica e la società non possono permettessi di
pagare un così alto prezzo.
Nell’epoca di Internet e del controllo
telematico dei flussi bancari ci sono altri modi molto più efficaci per
controllare tale fenomeno e il grande flusso di denaro conseguente, ma
anzitutto è necessario che ciascun individuo di buona coscienza sviluppi la
piena consapevolezza di non acquistare né consumare droga foraggiando così le
mafie e danneggiando la propria e altrui salute mentale e fisica.
* Capo
Dipartimento per le politiche antidroga Presidenza Consiglio dei Ministri
Avvenire, 9
dicembre 2014
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